La birra italiana è una grande ricchezza per il nostro Paese. Perché è un’importante fonte di reddito e di occupazione. Perché è all’avanguardia per qualità di prodotto e di processo e per sostenibilità ambientale. Perché la sua richiesta in Italia, pur rimanendo nell’ambito di un consumo moderato, responsabile e sostanzialmente a pasto, è in aumento. E perché la birra è ormai parte integrante di quell’eccellenza del Made in Italy agroalimentare, sempre più apprezzato nel mondo, che rappresenta uno dei patrimoni più preziosi, non solo economicamente, del nostro Paese.
I consumi di birra in Italia
Nel 2015 (ultimo anno per cui sono disponibili dati completi) i consumi di birra in Italia sono stati pari a 18.726.000 ettolitri (quasi un milione in più rispetto al 2014), corrispondenti a un consumo pro capite annuo di 30,8 litri (contro i 29,2 del 2014). Tanti? Pochi? Rimanendo al nostro Paese, non sono ancora i 31,1 che consumammo nel lontano 2007, ultimo anno prima dell’inizio della grave crisi economica dalla quale stiamo faticosamente uscendo e che ha colpito anche il settore birrario italiano. E, soprattutto, sono pochi se – senza andare troppo lontano – si guarda a quell’Europa di cui (ancora) facciamo parte: l’Italia, insieme alla Francia, continua ad occupare gli ultimi posti nella graduatoria dei consumi tra i Paesi UE, con un valore pari a meno della metà della media UE (quasi 70 litri) e da 3 a 5 volte inferiore a quello dei Paesi in testa alla classifica: Repubblica Ceca (143 litri), Germania (107), Austria (105) e Irlanda (81).
PRODUZIONE
Ben diversa è la posizione che il nostro Paese occupa nella classifica dei produttori di birra: l’Italia è decima con oltre 14 milioni di ettolitri (in testa, manco a dirlo, la Germania che sfiora i 100 milioni), davanti a Paesi di ben nota tradizione birraria quali Austria, Irlanda e Danimarca. E ancor più significativo è il record storico di export, con quasi 2,3 milioni di ettolitri destinati in gran parte in Europa e la Gran Bretagna che, da sola, ne assorbe quasi la metà.
VALORE ECONOMICO E OCCUPAZIONALE
L’Italia, dunque, è un Paese con una tradizione produttiva non solo significativa in termini di quantità, ma anche sempre più apprezzata per qualità. Da ciò deriva il rilevante valore economico e occupazionale del settore. Nel 2015 la filiera italiana della birra ha dato complessivamente lavoro a 137 mila persone fra addetti diretti (5.350), indiretti (17.400) e indotto allargato (114.250). Questo soprattutto grazie alla perdurante vitalità mostrata dai birrifici artigianali, la novità più significativa dell’ultimo decennio: il numero di queste realtà imprenditoriali, in gran parte costituite da giovani e ad alta intensità occupazionale, è quasi quintuplicato dal 2008 al 2015 e supera oggi le 500 unità.
Inoltre la birra made in Italy:
– acquista ogni anno circa 1 miliardo di euro in beni e servizi. Tra i beneficiari: agricoltura (100 milioni), industria del packaging (400 milioni); altri servizi (150 milioni);
– porta alle casse dello Stato oltre 4 miliardi di euro fra accise, IVA, imposte sui redditi e sui salari, contributi sociali nel settore birrario e in quelli collegati (distribuzione, ristorazione, ospitalità ecc.);
– genera un valore aggiunto complessivo pari a circa 3,2 miliardi di euro, di cui 2,4 provenienti dalla sola ospitalità.
SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE
Un altro primato della birra italiana è la sua sostenibilità ambientale. Negli ultimi 25 anni si è abbattuta dei due terzi la quantità di acqua consumata per produrre birra, con un risparmio generale che ammonta a 8,8 miliardi di litri, equivalente al fabbisogno idrico annuale della Valle d’Aosta. È diminuito di oltre un quarto il consumo di energia per ettolitro di birra prodotto, mentre in misura ancora maggiore (-40%) si sono ridotte le emissioni di anidride carbonica. Infine, entro il 2020 le aziende birrarie italiane si sono impegnate a diminuire di un ulteriore 25% l’impiego di acqua e a far scendere del 50% rispetto al 1990 le emissioni di CO2.
Tutto bene dunque? Non esattamente. Ad esempio, se è vero che le esportazioni italiane di birra sono al massimo storico, lo stesso vale anche per il saldo negativo della bilancia commerciale poiché, nello stesso 2015, l’import di birra ha sfiorato i 7 milioni di ettolitri.
Tornando invece ai consumi, se dalle quantità si passa alla loro tipologia, si scopre come la lunga crisi economica abbia colpito profondamente le abitudini di acquisto degli italiani penalizzando i consumi a più elevato valore aggiunto:
i consumi di birra fuori casa (On Trade) sono oggi pari al 41,5% del totale rispetto al 45,5% del 2007: 4 punti in meno andati a vantaggio degli acquisti nella distribuzione moderna e tradizionale (Off Trade) passati nel frattempo dal 54,5% al 58,5%;
in termini di segmenti di prodotto, rispetto al 2008 il settore Premium ha perso oltre il 20% di quota di mercato, a vantaggio delle Private Label ed Economy, mentre il cosiddetto Main Stream continua a rappresentare circa la metà del totale.
La verità è che il settore birrario italiano, pur mostrandosi vitale e capace di competere con successo sul mercato internazionale, rimane penalizzato da una tassazione che, seppure di recente parzialmente ridotta dal Governo in occasione dell’approvazione della Legge di Stabilità 2017, resta di gran lunga più elevata rispetto sia alle altre bevande da pasto in Italia sia alla birra degli altri Paesi dell’Europa continentale.
Birra e panica piatta? Si può! Ecco qui i nostri consigli!
Fonte: Assobirra