Il 2017 è l’anno di Franco Pepe!
Non c’è dubbio. Il 2017 è l’anno di Franco Pepe! Un anno ricco di premi e di soddisfazioni che arrivano a coronare un percorso professionale fatto di tanta passione, rispetto dei gesti antichi ereditati dal nonno e dal papà, ma anche di dedizione, sacrificio e una voglia inarrestabile di imparare e di migliorare sempre. Un percorso faticoso, che ha portato i suoi frutti con la sua pizzeria Pepe in Grani a Caiazzo (CE) eletta miglior Pizzeria d’Italia 2017 dalla Guida online 50 Top Pizza, e che conquista 3 spicchi per la pizza napoletana dalla Guida Pizzerie d’Italia 2018 de Il Gambero Rosso; l’apertura de La Filiale all’interno dell’Albereta di Erbusco (BS) che dopo soli 6 mesi di attività è premiata anche lei con tre spicchi. Ma non finisce qui: la famosa Guida, infatti, ha eletto la sua Pizza Fritta Crisommola del Vesuvio migliore pizza dolce d’Italia.
Un anno davvero ricco di soddisfazioni per lei, ma ci può raccontare come ha iniziato la sua attività di pizzaiolo e quali sono state le tappe più importanti della sua carriera?
Sono nato in una pizzeria. Ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza vicino a papà che, aveva imparato l’arte della panificazione dal nonno e poi aveva aperto la sua pizzeria nel 1961. Vivevo in parallelo: la mattina studiavo e la sera andavo a lavorare in pizzeria. Mi sono diplomato, ma quando papà, all’improvviso è mancato, con i miei fratelli abbiamo deciso di portare avanti l’attività.
Inizio anni 2000 – periodo in cui c’era un particolare interesse per la pizza – ho incontrato Luigi Veronelli che voleva presentare un vino della zona con una mia pizza. Ho rispolverato la memoria – come dice Pino Cuttaia, la memoria è un ingrediente della cucina – ed ho pensato a una pizza che però non tenevamo in carta: il Calzone con la scarola. Veronelli ne fu entusiasta e da quel giorno entrai in un mondo nuovo, sconosciuto. Ho iniziato a capire che la cucina ed anche l’alta cucina strizzavano l’occhio alla pizza.
Lo Chef Antonello Colonna, infatti, mi chiamava a Roma al Palazzo delle Esposizioni per degli eventi ed io aprivo le cene preparando della pizza. Li ho conosciuto Massimo Bottura e altri chef che ora sono diventati famosi e stellati. Ogni volta, ritornavo a casa carico di emozioni e di conoscenze che mi hanno fatto ragionare sulla mia pizza. L’incontro con l’alta cucina mi ha insegnato ad utilizzare le materie prime. Ho anche rubato alcuni segreti e alcune tecniche che ho poi impiegato per la preparazione della pizza. Considerando che tutti i pizzaioli sono degli artigiani, ho iniziato un percorso di ricerca che mi ha portato a tradurre i sapori ereditati dal nonno e dal papà in saperi che potevo raccontare ai clienti.
Nel 2011 ho iniziato a pensare di mettermi per conto mio, lasciare l’insegnamento e dedicarmi completamente alla pizza. Ho fatto, quello che per molti era un azzardo e sono entrato nel centro storico disabitato in un palazzo del Settecento ormai in rovina.
Ci può descrivere la sua idea di pizzeria e di pizzaiolo?
Volendo offrire di più al cliente, ho creato una pizzeria con un laboratorio a vista e con delle camere per l’accoglienza. Per me era fondamentale creare un luogo simile ad una locanda in cui ci si può soffermare, ragionare sul cibo e la pizza non è più un fast food, ma è il risultato di una lunga ricerca in cui è stato scelto un particolare tipo di pomodoro o di mozzarella. Mettendo le camere ho deciso di puntare sul territorio e i suoi prodotti, sui contadini, che adesso sono giovani imprenditori laureati che sono tornati alla terra dei loro nonni. Ho spinto un territorio ad esprimersi e gli ho ridato dignità portando in Italia ed all’estero i suoi prodotti e facendoli conoscere.
Qui vengono anche dall’estero, mangiano la mia pizza, fanno degustazione, e poi il giorno dopo, se vogliono, fanno un tour del territorio e vedono dove si coltivano i prodotti, dove si produce la mozzarella. In 24 ore le persone hanno, non solo il sapore della mia pizza, ma hanno modo di entrare in contatto con un territorio e di conoscerlo. Il mio compito è ascoltare la clientela. Nella mia pizzeria, oltre alle due sale classiche da pizzeria, c’è anche una sala per le degustazioni con pochi posti dove la pizza viene servita a spicchi e raccontata, con un Sommelier che fa gli abbinamenti con vini e Champagne. Ho ricavato anche un posto su un Belvedere dove le persone possono stare tranquille a gustarsi la pizza.
Quando ho aperto la mia pizzeria, ho iniziato un percorso nuovo con un nuovo team di collaboratori. Ho formato i ragazzi e adesso sono 34. Due lavorano a La Filiale di Erbusco, locale che era di Gualtiero Marchesi, e altri due a Ginevra dove ho una collaborazione.
Ho fatto formazione sui ragazzi. Una volta si formava il pizzaiolo che svolgeva tutti i compiti, mentre io ho scomposto la figura del pizzaiolo. Ognuno dei miei ragazzi ha un suo compito nel percorso della pizza, e poi ho due persone che stanno vicino al forno, che controllano il tutto e valutano se servire la pizza al tavolo. Così, oggi riusciamo a fare 600-700 pizze a sera.
Le persone che vengono in pizzeria non devono cercare Franco Pepe o il Pizzaiolo, ma la mia pizza, i miei sapori e la mia filosofia di pizza, qui come all’Albereta o a Ginevra.
Come definirebbe il suo concetto di pizza e come si situa tra tradizione e innovazione?
Parlo di traduzione dei sapori in saperi. Bisogna guardare con attenzione la tecnologia e tutto quello che può offrire e farla dialogare con tutto ciò che la tradizione ci ha dato.
Tendo a trattenere la tradizione e l’artigianalità, ma guardo con interesse le innovazioni. Qui ho un forno a legna, ma oggi ci sono dei forni elettrici di ultima generazione che permettono di fare la pizza ovunque. Ho fatto la pizza su un forno elettrico nel Louvre di Parigi, cosa impensabile con un forno a legna! Dobbiamo essere critici verso la tradizione e ragionare. Sono distante, ad esempio, da chi a Napoli, mette ancora il basilico in cottura a 400 gradi solo perché è un gesto di tradizione.
Lei ha aperto la sua pizzeria Pepe in Grani a Caiazzo (CE) e poi La Filiale all’Albereta di Erbusco (BS), due realtà diverse tra loro anche a livello territoriale. Cosa le rende in qualche modo simili?
Portare la pizza in un tempio della gastronomia italiana, riferimento per tanti chef, dove ha lavorato Gualtiero Marchesi, era un momento importante per me.
Ho lavorato circa un anno e mezzo su come portare i miei sapori, la mia pizza all’Albereta ed abbinarla ai loro vini. Li si respira un po’ la stessa aria che si respira qui. È stata fondamentale la collaborazione con Fabio Abbattista, l’erede di Gualtiero Marchesi, per la conoscenza delle materie prime presenti sul territorio. Abbiamo creato una pizza dedicata alla Franciacorta.
Mi piace dialogare con il territorio e tutto ciò che esprime. Cerco di esaltare il sapore, i profumi dei prodotti attraverso le mie pizze. Ho un compito: sapere utilizzare le materie prime sopra il mio impasto, preparato con una farina particolare, che non è in commercio e che è stata creata con i grani che ho scelto. Cerco di dare un’identità alla mia pizza, di fare una pizza buona e sana. Insomma, cerco di presentare la cosa giusta nel posto giusto.
Secondo lei qual è il segreto della sua pizza e perché sta riscuotendo così tanto successo?
Dedico 19 ore al giorno al mio lavoro con tanto entusiasmo perché mi piace farlo. A volte vedo certe persone fare la fila di una, due ore per mangiare la mia pizza e quando poi se ne vanno, mi dicono che ne valeva la pena, perché l’attesa è stata ricambiata da sapori ed emozioni. Secondo me la pizza non ha segreti, ma deve avere un minimo di competenza.
Ci può anticipare qualcosa dei suoi progetti futuri, se sta lavorando a qualche libro?
Ci sono tanti progetti e tante proposte sia in Italia che all’estero. Io mi sono rifiutato di scrivere un libro di ricette. Non ha senso fare un libro di ricette, perché le ricette rimangono li. Scriverò un libro quando la mia storia sarà raccontata in parallelo con la mia vita lavorativa. Con un libro devi trasmettere delle emozioni!
Sogno un locale del futuro che sia un luogo d’incontro tra la cucina e la pizza, un locale in cui ci sia uno chef.
Courtesy: Franco Pepe