Nello sport conta chi vince
Chi perde – se la prende bene – dice che si trattava solo di un gioco. Un gioco serissimo se, per affrontarlo a dovere, ti sei fatto un mazzo tanto. Allora – se perdi- scopri che poi tanto gioco non era, visto che oltre agli avversari, alla fine, ti sei dovuto misurare persino con te stesso. Molti vigneron si sono cimentati in quello sport che si chiama Pinot Nero.
Roba difficile da allevare ed elevare, perché ci vuole fortuna al limite dell’anatomico, visto che il vitigno è in primo luogo cagionevole di salute. Esige fresco ma non freddo e se in fase di maturazione al tepore, in vigna, si sostituisce il calore, addio all’eleganza del frutto. In cantina democrazia di materiali, ma attenzione perché se usi il legno, meglio se non nuovo, le dosi debbono essere quasi omeopatiche. Dopo tanto training però è pur necessario misurarsi con gli altri.
Può capitare allora che il paragone generato dall’assaggio ti tenga con i piedi ben piantati a terra più della stessa forza di gravità, mentre gli altri, i fuoriclasse, fanno vini dotati di patenti aeronautiche, per quanto in alto li sappiano far volare.
Accade perciò che molti innamorati o addirittura devoti del Pinot Nero abbiano finito per cambiare rotta, in molti casi addirittura abiurando la stessa fede nel vitigno. In questi casi i produttori deviano verso altre varietà, magari autoctone, mentre altri hanno continuato in un’ostinata ricerca basata sull’emulazione.
Con il Pinot Nero l’emulazione può coincidere con l’immolazione o se preferite con il sacrificio di quelle che sono le doti del proprio terroir. A questo si aggiunge l’ostinazione d’inseguire una qualità magari anche superiore, ma, per il fatto di essere ottenuta in un altro luogo dotato di altre caratteristiche, di fatto inafferrabile. Ma non è tutto.
I nuovi avversari
Il campo di ‘gioco’ si è parecchio allargato, tirando in ballo anche nuovi avversari come: Nuova Zelanda (i più buoni arrivano dalla regione del Central Otago), Australia (Adelaide Hills, Geelong e Yarra Valley), Usa (Sonoma, Carneros e Oregon) e persino le condizioni climatiche sono mutate. Alla luce di tutto questo il rischio più grande per il Pinot Nero di casa nostra è stare al buio, nel fondo di un’ideale graduatoria che abbia per oggetto il vitigno in questione.
Che fare?
Credo che si debba pensare a questa varietà come un mezzo e non come un fine. Pensare a come estrarre, attraverso quest’uva, tutte le potenzialità del proprio territorio.
Allora la sfida più grande diventa con se stessi e con quell’espressione vera, piena e quindi sincera del proprio territorio. Una dote che se da un lato forse non porterà alla vetta o alla vittoria, saprà comunque far scalare ai produttori che avranno deciso di produrre Pinot Nero in questa maniera, le posizioni di questo ideale ranking della qualità.
Allora vincere può non essere tutto, perché l’obiettivo, come nello sport, non è correre come tizio o toccare il pallone come caio, ma farlo, in entrambi i casi, al meglio e con un proprio – e quindi unico – stile.
Uno stile unico
Molti produttori italiani seguono questa filosofia con successo. La loro geolocalizzazione ci porta, per ovvi motivi di latitudine e in molti casi di altitudine, a nord. Mi vengono in mente la riserva Borgum Novum di Castelfeder, il Pinot Nero Trattmann Mazon di Girlan, ricavato dalla zona di Mazzon che ha terreni abbastanza leggeri e un’esposizione fresca.
Svariando ad est vanno sicuramente menzionati il Pinot Nero Altura di Maculan, vino di grande sapidità ereditata in parte anche dai terreni di origine vulcanica da cui si ricavano le uve, e quello di Tenuta Beltrame dal tratto immediato, succoso e di grande bevibilità. Poi ancora Valle d’Aosta, Oltrepò Pavese (qui sono in tanti a produrre Pinot Nero come Conte Vistarino, Isimbarda, Andrea Picchioni e mi fermo per mancanza di spazio), Franciacorta, Toscana, Umbria, ma anche su qualche campetto isolato, qualche Pinot Nero si muove, corre, si allena con ferocia, insomma fa sport, ma mai per tenersi soltanto in forma.
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