Diversi anni fa, in un’intervista, Oscar Farinetti disse quanto segue: “Un prodotto, un paesaggio, un monumento, un’opera d’arte, qualsiasi bellezza del nostro immenso patrimonio se non è narrata è come non esistesse. Noi Italiani deficitiamo in capacità di narrare, per esempio rispetto ai francesi. Ogni cosa che vogliamo offrire deve essere accompagnata da una descrizione narrativa che metta in campo facile comprensione, scienza, storia e pure unpo’ di poesia”.
Aldilà delle simpatie o antipatie per chi ha creato questa riflessione, credo contenga una grande verità. Un grande problema di noi italiani, specialmente dei Ristoratori italiani, è la non-capacità di raccontarsi.
L’incapacità di attuare ciò che gli americani chiamano Storytelling: il raccontare la propria storia. Alcuni non si raccontano per incapacità manifesta: non lo sanno proprio fare. Altri perché non ne intuiscono il valore. Altri ancora per non dare nell’occhio, per non dare alla concorrenza l’opportunità di “ispirarsi”.
Ma non raccontandosi, qualsiasi sia il motivo, è una grandissima opportunità persa.La realtà delle cose è che il vero valore aggiunto, oggi, non è in ciò che si fa, ma in ciò che si comunica.
E se questo è vero in termini generali, in quanto le “storie” dovrebbe essere parte integrante del marketing e della comunicazione aziendale, è ancora più vero all’interno dello strumento di vendita più potente che ogni ristoratore ha a disposizione: il menù.
Un noto marchio di pizzerie napoletane famoso in tutto il mondo riesce a vendere una pizza con pomodoro, mozzarella e qualche scaglia di formaggio a 9,80€, quando il prezzo medio nazionale è 4,50€. Come ci riesce? Beh, raccontandola.
Questa è la descrizione che recita il menù: Filetti di Antichi Pomodori di Napoli, mozzarella di bufala campana DOP, EVO Penisola Sorrentina DOP, basilico e scaglie di Caciocavallo Podolico.
Una descrizione del genere crea valore. Dona importanza ad ogni ingrediente. E dona anche l’opportunità di vendere una semplicissima pizza al doppio del prezzo medio nazionale. Una descrizione del genere richiama alla mente immagini romantiche e poetiche, fatte di artigianalità, territorio e un pizzico di sano campanilismo.
E il segreto di questa descrizione è lo Storytelling. È il mettere a nudo gli ingredienti della pizza. Il raccontarli. Il dirlo al mondo intero che quella pizza è differente, e che quindi merita un’attenzione (ed un prezzo) differenti.
Un altro esempio. Un notissimo pizzaiolo napoletano, per inaugurare una delle sue pizzerie a Milano mise all’ingresso un’impastatrice meccanica rotta, coperta da un nastro bianco e rosso, come se fosse inutilizzabile, inutile, superflua. Era un modo differente ed originale per dire che in quella pizzeria l’impastatrice non si usa: “qui l’impasto si fa solo a mano”.
Conosco personalmente decine e decine di pizzaioli che impastano a mano. Ma non hanno la metà del successo di chi, oltre a fare, racconta. Così come conosco centinaia di pizzaioli che usano prodotti di qualità, ma non lo raccontano. Che utilizzano ricette centenarie, ma che non vedono la ragione per informare i loro clienti di ciò. Che fanno la spesa nei mercati rionali, da piccoli allevatori e contadini, ma se lo tengono per sé. E che, purtroppo, mentre i loro clienti mangiano un capolavoro pensano di mangiare una normale margherita.
La differenza fra un pizzaiolo di successo e un pizzaiolo qualunque è anche lì, nella capacità di raccontarsi, di narrare una storia, di far sentire la propria clientela come parte di qualcosa di più grande.
Questo è il potere dello Storytelling, il potere del marketing e della comunicazione: plasmare l’immateriale, per creare qualcosa di estremamente tangibile e concreto.
Insintesi, lo Storytelling non è affatto un’americanata ad esclusivo appannaggio di chi non è abbastanza bravo a fare, ma al contrario, un’imprescindibile strumento di marketing che amplifica i risultati di chi fa bene. L’invito è palese: non privarti di questa immensa opportunità, inizia a raccontarti.