Menu Engineering: due leggende metropolitane da sfatare

Di Lorenzo Ferrari

Di Lorenzo Ferrari

Ultimamente – anche grazie alla nostra opera di divulgazione effettuata negli ultimi anni – la tematica del Menu Engineering sta prendendo sempre più piede.

E questo rappresenta un bene. Poiché il Menu Engineering è una materia che può fare molto per tanti ristoratori italiani, c’è un estremo bisogno che se ne parli. Ma nei termini corretti.

Perché parlarne in maniera approssimativa o superficiale, oltre ad essere una presa in giro nei confronti degli operatori del settore, è un affronto a chi il Menu Engineering lo studia e lo applica da anni.

Per queste ragioni, questo articolo ha lo scopo di screditare e smontare, una volta per tutte, almeno due leggende metropolitane riguardo al Menu Engineering che continuano a rimbalzare tra una testata giornalistica e l’altra, facendo disinformazione ai danni degli operatori del settore ristorazione e del mercato tutto.

 

PRIMA LEGGENDA METROPOLITANA:
GLI SWEET SPOTS (O TRIANGOLO MAGICO)

Una passata teoria vorrebbe l’esistenza degli sweet spots (o del Triangolo Magico, è la stessa cosa dal punto di vista concettuale) ossia dei particolari punti situati sulla superficie del foglio in grado di attrarre naturalmente l’attenzione di chi legge.

Secondo queste teorie l’attenzione del lettore intento a scegliere da un menù seguirebbe uno schema di questo tipo:

 
Menù Engineering Lorenzo Ferrari Sweet spots
 

Muovendosi, appunto, dallo sweet spot in direzione delle frecce. Questi punti dovrebbero combaciare con le alternative più profittevoli del menù, perché statisticamente le persone le sceglierebbero di più e quindi il risultato sarebbe un maggior guadagno. Ora, questo non corrisponde a realtà. Perché queste affermazioni vanno contro ai più basilari principi di design esistenti. Per convincersene, invito chi legge a confrontare tra loro questi due menù.

 
Menù Engineering Lorenzo Ferrari Sweet spots
 

Sono entrambi dei formati monopannello, in bianco e nero. Chi scrive ha cercato di trovarli quanto più possibili simili, per creare un esempio accurato.
Chi scrive domanda al lettore: attirano la tua attenzione negli stessi punti? Leggendoli, la tua attenzione cade sugli sweet spots, seguendo il movimento illustrato nella pagina precedente?

Con ogni probabilità no.
Avendo un design e un contenuto differente, l’attenzione del lettore si sposterà in maniera altrettanto differente su un foglio rispetto all’altro.
Ed è così sempre. Chi scrive ha coniato una regola a riguardo: gli sweet spots non sono mai uguali su menù diversi.

L’unica casistica nella quale può essere giusto sostenere l’esistenza degli sweet spots è in un menù con un design inesistente, come potrebbe essere la pagina di un romanzo, cioè realizzato da un grafico di scarso o infimo livello.

In quel caso, poiché all’interno del menù non ci sono elementi in grado di catturare l’attenzione di chi lo legge, può darsi che l’occhio del lettore si muova per coprire la maggior parte della superficie del menù, nel tentativo di decifrarne il contenuto e di fare chiarezza.

Ma se questi studi riguardano menù non ingegnerizzati allora pare ovvio che non si possono applicare a menù ingegnerizzati, rendendo di fatto nulli tutti i tentativi di dare un senso alla teoria degli sweet spots.

 

SECONDA LEGGENDA METROPOLITANA:
I COLORI

Un recente articolo comparso su un’importante testata recita, in un suo passaggio, codeste parole: “Secondo la cromoterapia, ogni colore stimola un’emozione diversa e di conseguenza spinge verso determinate scelte. Il rosso è un eccitante, in natura è il colore usato per attirare, in campo gastronomico invece rinforza la scelta fatta. Il verde in cucina è sinonimo di cibo fresco e genuino, quindi viene abbondantemente utilizzato per sottolineare le materie prime. L’arancio stimola l’appetito, il giallo viene utilizzato per dare un tocco di leggerezza ragionata. E il blu? Immancabile e preferito dei ristoranti di pesce perché richiama le onde del mare e i suoi prodotti.” Spinge verso determinate scelte? Un tocco di leggerezza ragionata? Immancabile nei ristoranti di pesce? È veramente complicato anche solo pensare che queste affermazioni abbiano un fondamento scientifico.

 
Menù Engineering Lorenzo Ferrari
 

Per convincersene, chi scrive invita chi legge a porsi queste domande:

• Il fatto che il tuo menù o determinate sue parti siano rosse, potrà mai ipnotizzare chi lo legge e spingerlo ad agire contro la sua volontà?
• E ancora: il fatto che ci siano degli inserti gialli potrà mai fare esclamare al cliente “Come sono leggeri, ma si vede che è una scelta ragionata!”?

Appare difficile prendere questi passaggi sul serio.Una precisazione: chi scrive non mette in dubbio che la cromoterapia, in alcuni circostanziati ambiti, possa risultare efficace.

Chi scrive, invece, sostiene fermamente che l’apporto della cromoterapia sul processo decisionale del cliente che legge un menù è prossimo allo zero. Ci sono decine e decine di fattori che concorrono maggiormente (ed è facile dimostrarlo) al far propendere la scelta del cliente indeciso tra un piatto o un altro.

Ma tra questi, la cromoterapia è tra gli ultimi in classifica. I colori sul menù devono seguire una sola e semplicissima regola: Devono essere coerenti e coordinati con l’identità complessiva del ristorante.
Fatto questo, gli unici limiti sono dettati dal buon senso e dal buon gusto.

Ad esempio, per un ristorante informale ed accessibile, in cui prevalgono i colori caldi, anche il menù potrà e dovrà prevederli. Oppure per un ristorante raffinato ed esclusivo si potranno scegliere toni scuri e formali. E ancora, per un fast-food si potranno scegliere colori sgargianti e saturi per sottolineare la natura divertente e leggera del locale stesso.

In tutte e tre le casistiche c’è un solo principio da seguire: la coerenza e la coordinazione tra i colori dell’immagine del ristorante e quelli del suo menù.

Con buona pace dell’arancione che stimola l’appetito, il giallo per il tocco di leggerezza ragionata e il blu che va bene per i ristoranti di pesce, tutte affermazioni molto difficili da sostenere scientificamente. E buon Menu Engineering.

Lorenzo Ferrari Menù Engineering


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