Lo speciale di gennaio 2020 è dedicato alla rivincita del pane. Abbiamo intervistato Davide Longoni, panificatore per scelta dopo essersi laureato in Lettere e che oggi è uno dei maestri della panificazione contemporanea.
Come si presenta e quali sono le caratteristiche del suo pane?
Tendo a racchiudere le caratteristiche del mio pane, nei sette punti cardine di PaneTerra:
– è un prodotto agricolo, trasformazione che l’uomo fa di un prodotto della terra
– è grani autoctoni, farine macinate a pietra, lievito madre, grande formato
– è controllo della filiera e della tracciabilità dei grani
– è gestione dei suoli con pratiche sostenibili, per non perdere fertilità
– è profumo, sapore e gusto
– è paesaggio agricolo
– è considerare la panificazione un mestiere antico, ma che sa evolversi.
Il pane per me è, dunque, prima di tutto un prodotto agricolo. Lo paragono di frequente al vino: il mondo del vino è il settore agricolo più maturo, dove sono presenti contemporaneamente delle esperienze di prezzo molto differenti tra loro, dalle più alte alle più basse. Questo per merito di vignaioli e agricoltori che hanno compreso da tempo come lavorare sulla qualità. Il Pane Agricolo è un ritorno alle origini. Origini dei sapori e degli odori, origini nell’utilizzo del lievito madre amalgamato con fibre, amidi e proteine. Il risultato è: bontà, digeribilità e conservabilità.
Il pane agricolo, come il vino – ritorna il parallelo – è un altro prodotto che si trasforma ed evolve. Ciò è dovuto alla pasta madre, al grande formato che asciuga meno il prodotto, a farine non completamente raffinate che trattengono l’umidità. Adesso il pane, paradossalmente, quasi migliora a distanza di tre, quattro, cinque giorni.
Perché preferire i grani antichi?
“Grani antichi” è una delle quattro parole d’ordine che evolvono il pane in un alimento da condividere e che dura più giorni. Non soltanto, si tratta di ingredienti preziosi per la salute in linea con una tradizione sana. Ad ogni modo anche se la definizione grani antichi è corretta, oggi parliamo più volentieri di grani autoctoni. Si può parlare di Rinascita del pane: da bene necessario che dura al massimo un giorno, è oggi un prodotto che vive più a lungo, si trasforma, cambia, si evolve.
Nei terreni nella prima periferia di Milano, nei pressi dell’abbazia di Chiaravalle, coltivo da tre anni segale e farro, con cui faccio il mio pane e i miei prodotti. Il comune di Milano aveva messo a bando i terreni dell’abbazia dopo che per anni erano rimasti incolti. Sono terreni che inizialmente erano vocati all’agricoltura, poi abbandonati per anni, recuperati e ora rimessi in produzione e che fanno parte del progetto di “rigenerazione urbana”. Finora si era parlato di filiera e di grani tracciabili, il che significa conoscere l’agricoltore, il mugnaio, seguire passo passo la produzione, le farine, lo stoccaggio, insomma la materia prima. Oggi, il passo successivo è quello di avere dei terreni da gestire e l’obiettivo è quello di ridare una vera dimensione agricola alla panificazione. In questo senso, immediatamente dopo l’esperienza positiva di Chiaravalle, ho cercato altri terreni da mettere a produzione fino a giungere in Abruzzo, a Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, zona da sempre votata alla coltivazione dei cereali. Il senso è quindi il pieno controllo della materia prima e il sogno, l’utopia di un giorno, è quello di panificare solo da farine che provengono da proprie produzioni, come già avviene nel punto vendita presso il mercato della Coldiretti.
Pane “come una volta” di grande pezzatura. Perché?
Per me il pane è un alimento da condividere, che rievoca immagini del passato con le famiglie riunite attorno alla tavola che condividevano un’unica forma di pane. Inoltre, come ho detto, il grande formato asciuga meno il prodotto (grazie anche alle farine non completamente raffinate che trattengono l’umidità), tanto che adesso il pane, paradossalmente, quasi migliora a distanza di tre, quattro, cinque giorni. La forma del mio pane, che non è mai egoista, ma anzi è un pane da condividere, sociale, partecipe, contadino. Il pane non è una commodity e deve stare in tavola esattamente come il vino.
Grazie a Davide Longoni!