Shrinkflation: cosa significa
Ultimamente vi sarà capitato il tipico pacchetto di patatine che, nonostante dimensione e prezzo siano inviariati, il contenuto si è ridotto. Ecco spiegato il termine shrinkflation. Un fenomeno diffuso ormai in mezzo mondo. Il termine anglosassone shrinkflation viene usato per descrivere un meccanismo che deriva dal verbo “shrink” (restringere) e da “inflation” (inflazione). In altre parole, stesso pacchetto e prezzo, contenuto inferiore.
Come è iniziata?
Tutto nasce con la Brexit, nel Regno Unito. Si è registrato un aumento dei costi ed Unilever, la famosa multinazionale britannica, chiese alla catena di supermercati Tesco di aumentare i prezzi per far fronte al deprezzamento della sterlina. Tuttavia, in seguito all’abbassamento dei consumi, si tentò la strada della diminuzione di prodotto venduto lasciando però il prezzo inalterato. La prima categoria utilizzata è stata quella dei detersivi liquidi, perché è più difficile vedere il livello del liquido nel contenitore. Da allora è stato tutto un susseguirsi di aziende che proponevamo prodotti uguali per la confezione, ma con quantità ridotta di contenuto.
Perché le aziende usano la shrinkflation?
Le aziende adottano questa “strategia” di marketing per combattere l’inflazione in salita, senza dare al consumatore una sensazione di impoverimento tale da bloccarne la spesa e quindi mantenere i consumi sempre alti.
Per essere ancora più chiari, la shrinkflation è una forma di inflazione nascosta. Le aziende sanno che i clienti notano gli aumenti di prezzo dei prodotti e quindi optano per ridurne le dimensioni, consapevoli che un restringimento minimo passerà inosservato.
La maggior parte dei consumatori generalmente non controlla le dimensioni di un prodotto. Chi ama le patatine potrebbe non rendersi conto se la sua marca preferita riduce le quantità della busta del 5%.
In sostanza l’azienda aumenta i profitti non grazie all’aumento dei prezzi, ma facendo pagare la stessa cifra per un pacco che contiene un po’ meno prodotto. Studi sulle abitudini dei consumatori hanno dimostrato che questi ultimi sono più sensibili agli aumenti di prezzo espliciti che al ridimensionamento delle confezioni. L’efficacia della riduzione dell’inflazione come strategia di prezzo sembra variare tra i diversi tipi di beni e mercati.
Tornando alle nostre amate patatine, il consumatore che va a fare la spesa si troverà sempre lo stesso pacchetto che è abituato a comprare ma, il numero di patatine all’interno saranno dai 5 ai 10 in meno. Stesso discorso vale per le bibite. Il consumatore potrà prendere dallo scaffale una lattina apparentemente identica, ma in realtà leggermente ridimensionata nel diametro o nell’altezza rispetto alla norma. Negli Stati Uniti si sta assistendo ad un’evoluzione (negativa) della shrinkflation: qui a subirne le spese sono le confezioni di pasta.
I prezzi sono rimasti gli stessi, mentre il peso netto all’interno è diminuito. Non tutti i brand ammettono le loro colpe. C’è chi maschera la riduzione di peso per la diminuzione di ingredienti poco salutari presenti nel prodotto.
Ma tutto ciò è legale?
Tecnicamente, se i pesi delle confezioni sono corretti e il rapporto degli ingredienti utilizzati rimangono inalterati, tutto è legale. Ovviamente tutto questo potrebbe trarre in inganno i consumatori. La riduzione delle quantità dei prodotti confezionati venduti allo stesso prezzo ha scatenato le associazioni dei consumatori. Queste hanno denunciato all’Antitrust e a 104 procure in Italia la presenza di una “inflazione occulta” a danno delle famiglie. Hanno chiesto quindi di aprire indagini volte a verificare se la prassi avviata dai produttori e tesa a ridurre le quantità dei prodotti venduti ai consumatori senza ridurre il prezzo delle confezioni, possa costituire fattispecie penalmente rilevanti, dalla truffa alla pratica commerciale scorretta.
Questo modo di agire da parte delle aziende consente loro l’aumento dei guadagni, ma di fatto serve ad aumentare l’esborso dei singoli cittadini che si trovano con un 30% in meno di prodotti nei loro carrelli.
Un esempio tipico di qualche anno fa è quello del Toblerone, i cui produttori hanno ridotto il numero di “piramidi” di cioccolato, allungando leggermente gli spazi tra uno e l’altro per non far percepire il cambiamento sulla confezione, ma con un risparmio di cacao e cioccolato del 10% per l’azienda.
Possiamo difenderci dalla shrinkflation?
Sfido chiunque a ricordare a memoria le dimensioni o il peso dei prodotti che normalmente acquistiamo. La cosa più ovvia sarebbe comparare il prezzo al chilo dei
prodotti, ma è plausibile che non tutti i consumatori li conoscano, e comunque non è facile davanti ad uno scaffale calcolare il prezzo per il peso. Considerando l’aumento dei marchi che stanno adottando questa tecnica è meglio confrontare, in base al peso, chi offre un prezzo minore. Alla fine, come al solito si dovrà scegliere il male minore, ovverosia scegliere la marca che inganna di meno, invece che il prodotto più conveniente… purtroppo non è una bella prospettiva!