L’Emilia Romagna è la patria indiscussa della pasta fresca. Non si accettano discussioni in merito. E tra i prodotti che le annoverano questo titolo ci sono anche i balanzoni.
Qui nascono i formati tirati ad arte a mattarello, le sfogline (e gli sfoglini) hanno terreno fertile nel proporre tagliatelle, pappardelle, tortellini, cappelletti e tanti altri formati rigorosamente fatti a mano dalla A alla Z.
Partiamo dall’Emilia Romagna…
Entrare in un pastificio o ancor meglio in un ristorante con un laboratorio a vista dove questi artigiani della pasta fresca preparano le loro creazioni pronte per essere servite al tavolo non ha, a mio avviso, prezzo.
Qui in Emilia Romagna la tradizione è talmente forte che le discussioni sopra la differenza fra tortellini, cappelletti ed anolini sono superiori alle diatribe fra le squadre di calcio delle rispettive città o al credo politico. Ogni paese ha un suo formato. Se il formato è uguale allora cambia il ripieno, basti pensare ai tortelli con la zucca e a quante siano le varianti a seconda che ci troviamo a Parma oppure a Piacenza (andrebbe anche menzionata Mantova, ma essendo in Lombardia non rientra nei limiti geografici che ci siamo dati in questo momento…).
Cosa sono i balanzoni?
Bologna è senza dubbio la città in Emilia Romagna che più lega l’immaginario collettivo alla buona cucina e alla pasta fresca. Le lasagne alla bolognese e i tortellini sono i due prodotti più conosciuti, ma ne esiste un terzo (non in ordine di bontà, solo di conoscenza): i balanzoni.
Sono dei tortelli chiusi a mano di dimensione generosa e forma dei tortellini, con la sfoglia verde agli spinaci (come le vere lasagne di Bologna) e un ripieno di mortadella, spinaci e ricotta, oltre a parmigiano e noce moscata.
C’è chi dice che i balanzoni nascano dal recupero del ripieno dei tortellini, cui appunto vengono aggiunti ricotta e spinaci, un mix fra i più conosciuti ripieni della tradizione emiliana.
I balanzoni prendono il nome dalla nota maschera di Carnevale del Dott. Balanzone (Dutåur Balanzån in dialetto). Vengono anche chiamati “tortelli matti”: un tempo era d’uopo consumarli proprio in quel periodo, ma poi sono diventati di consumo comune.
La ricetta perfetta per i Balanzoni
Proprio il nome tortello matto si vuole essere di richiamo al fatto che si tratta di una ricetta di recupero degli ingredienti usati per altre preparazioni. La realizzazione dei balanzoni è abbastanza semplice, soprattutto considerando le dimensioni maggiori dei tortellini e quindi la maggior facilità di preparazione.
Su un quadrato di sfoglia tirata sottile di 10 x 10 cm si adagia una striscia di ripieno in diagonale, si richiude la sfoglia sopra il ripieno a formare un triangolo, avendo cura di sigillare bene il ripieno.
A questo punto si uniscono le due punte attorno al dito a formare un “grande tortellino”. E ora un poco di dosi.
Ingredienti
Per la sfoglia
500 g farina 00
200 g uova fresche
50 g spinaci sbollentati, strizzati e frullati
1 g noce moscata
Per il ripieno
200 g ricotta vaccina
125 g mortadella
80 g parmigiano grattugiato
100 g spinaci sbollentati e tritati
1 g noce moscata
5 g sale
Procedimento
Per il ripieno:
Prendere gli spinaci freschi in foglia e, dopo averli puliti e mondati dei gambi più duri, cuocerli in una pentola con pochissima acqua chiusa con il coperchio. Una volta sbollentati farli raffreddare, strizzarli manualmente, tagliargli a coltello finemente (io uso un tritacarne con un passo medio per accelerare il processo). Qui esistono ora due scuole di pensiero: chi salta gli spinaci in padella con olio, aglio, sale e noce moscata e chi no. Scegliete voi a vostro gusto. Unite la ricotta agli spinaci e alla mortadella, anch’essa tritata finemente o passata al cutter. Asciugare con il parmigiano e mescolare fino a ottenere un ripieno omogeneo.
Per la sfoglia:
Lavorare come di abitudine e, una volta pronta per essere tirata, fare delle sfoglie sottili da circa 0.6 mm che andranno a formare come descritto precedentemente.
La loro morte? Burro e salvia con una pioggia di parmigiano. Alternative? Speck, funghi, crema di parmigiano. “Soccia che storia!” dirà L’azdora…(!)