Una recente ricerca condotta da Sissa e pubblicata in un numero speciale della rivista Brain and Cognition ha dimostrato che la conoscenza del cibo si preserva anche in gravi sindromi che colpiscono la memoria, più di altre categorie di stimoli. Si è notato anche che le calorie percepite di un cibo influenzano la capacità di recuperarne il nome: più calorie ha il prodotto e più la conoscenza dell’alimento resta vivida.
Raffaella Rumiati, autrice del lavoro insieme al suo team della della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e in collaborazione con Caterina Silveri del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, ha verificato le prestazioni cognitive di due gruppi di pazienti affetti da Alzheimer e di un gruppo di controllo composto da persone sane in esercizi di comprensione e riconoscimento visivo del cibo.
La dottoressa Rumiati ha commentato: “Non dovrebbe sorprendere che, anche in un calo cognitivo generalizzato, il cibo tenda in qualche modo a resistere meglio. Non è difficile intuire come la pressione evolutiva possa aver spinto verso una maggior robustezza dei processi cognitivi legati al pronto riconoscimento di uno stimolo che forse è il più importante per la sopravvivenza. Inoltre, sappiamo dalla letteratura che i nomi degli alimenti più calorici sono quelli che vengono acquisiti per primi nel corso della vita” ed è la pura verità.
Un altro interessante particolare scoperto è che l’apporto calorico è proporzionale al suo ricordo: più ci sembra calorico, meglio viene preservato. Il fenomeno potrebbe essere strettamente collegato al fatto che il cibo più è nutriente, più è importante riconoscerlo.
Speriamo che dopo queste importanti scoperte si cominci a dare slancio agli studi in materia di cognizione, attirando una maggiore attenzione da parte della comunità scientifica.
Per maggiori informazioni in merito potete consultare lo studio completo sul sito www.sciencedirect.com
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