Dopo tanto peregrinare in giro per le regioni dello stivale italico alla riscoperta di prodotti tipici dell’arte pastaria e anche di nuovi appena “inventati”, come nel numero precedente di questa rubrica, ritorniamo in Liguria. Più precisamente a levante di Genova, ad Uscio, alle spalle di Recco, patria della focaccia al formaggio e delle Trofie insieme a Sori. Siamo nel comprensorio del Golfo Paradiso, mai nome fu più azzeccato per descrivere la bellezza di un territorio incastonato fra mare e monti.
C’era una volta… Battolli, scucussun e co
Vi voglio presentare i battolli di Uscio, un tipico formato di pasta antichissimo a forma di fettucce piuttosto larghe, fatte con la farina di castagna e farina di grano tenero, che, una volta cotti, sono da condire con il pesto genovese. La preparazione è abbastanza semplice e devono il loro nome proprio al caratteristico modo con cui si tirano con il mattarello battendoli sulla spianatoia. Da tagliare rigorosamente al coltello sulla spianatoia, anche se chi vuole aiutarsi con una macchinetta per la pasta non deve sentirsi in colpa…
Di spessore sostenuto, i battolli appartengono di diritto alla cucina povera ligure e nascono utilizzando le risorse locali della campagna. In questo caso la castagna da cui viene ricavata la farina di castagne e le coltivazioni locali quali grano, patate, basilico, e nauìn (in italiano navoni) ossia rape bianche utilizzate anche come alimento per il bestiame.
Possiamo definirla una “pasta matta” di cui il Comune di Uscio ha richiesto la De.Co. Per “pasta matta” in queste zone si intende la miscela di farina di grano tenero con farina di castagne, la base per fare trofie, piccagge (lasagnette) e battolli. Nella realtà la produzione di questo formato è tradizionale anche nella vicina Fontanabuona, ma sono il Comune di Uscio e la locale Proloco che ogni seconda domenica di settembre organizzano la tradizionale sagra dei battolli.
Ricettina? I battolli di Uscio
250 g farina 00
250 g farina di castagne
5 g sale
1 uovo
Acqua q.b. per un impasto omogeneo
Patate
Nauìn (navoni)
Come sempre far riposare, stendere ad uno spessore di 1 mm abbondante (io sono addirittura per 2 mm, belli consistenti), cuocere in abbondante acqua in cui cuocere anche patate e nauìn. Condire con il pesto e con i due ortaggi precedentemente nominati tagliati a pezzetti.
Questa abitudine di cuocere la pasta nella stessa acqua in cui cuociamo le verdure la troviamo anche nella tradizionalissima ricetta delle trofie pesto, patate e fagiolini, ingredienti questi ultimi due usati per condire i battolli durante l’estate.
Cucuzù o scuccussùn: alla scoperta della pasta tipica ligure
Parliamo ora di un altro tipico formato di pasta ligure di cui ho fatto menzione in un articolo qualche tempo fa trattando di pasta tipica sarda: lo scucuzù o scuccussùn. Si tratta di una pasta di semola di grano duro, e già questo suona strano in una terra di grano tenero…
È il più tipico formato utilizzato per il minestrone alla genovese, la cui produzione risale ai tempi nei quali i genovesi avevano relazioni commerciali con l’oriente.
Molto spesso trovavano il cus-cus arricchito con piccole palline di pasta di semola di grano duro e ne importarono in Liguria l’idea, applicandola alla pasta e dando vita agli scucuzzun (termine che ha le sue radici proprio nel cus-cus). Tradizionalmente utilizzato per il minestrone alla genovese, viene aggiunto a fine cottura assorbendo gli aromi e raggiungendo una consistenza perfetta per il genovese DOC: il cucchiaio deve rimanere in piedi da solo nel minestrone. Servito tiepido, o freddo in estate, può essere accompagnato con vino Vermentino.
Naturalmente perfetto anche per essere tostato ed utilizzato come la fregola sarda, di cui è un parente stretto di più piccolo diametro, con salse di pesce e molluschi, ha un suo cugino nei bricchetti, pasta tipica sempre per minestre e minestroni.
Se parliamo di minestrone e minestre, i bricchetti sono per antonomasia la pasta genovese perfetta all’uso: taglierini tagliati ad una lunghezza di 2 cm massimo da cuocere nel minestrone fino ad addensarlo.
Ultime, non per bontà, le gasse genovesi, un antico formato di pasta fresca. Per gassa penso che tutti, io compreso, sappiano di che formato si tratti, ossia una farfalla.
Anelli di pasta con burro e parmigiano
Ma, come sempre, c’è qualche cosa sempre di nuovo da imparare. Se leggete “La vera cuciniera Genovese, facile ed economica”, uno dei più completi ed antichi (1865) libri di ricette genovesi scritto da Emanuele Rossi, sembra quasi che si tratti di un formato comune e conosciutissimo. In realtà non se ne trova traccia nei menù delle trattorie e dei ristoranti genovesi. Più precisamente “Chiamasi gasse nel dialetto genovese certe piccole e corte strisce di pasta ripiegate su se stesse e congiunte alla estremità in modo da dare loro l’aspetto di cappi o galani (ciò che appunto significa la voce gasse)” (p. 76, ricetta 135).
Praticamente degli anelli di pasta, simili ai paccheri napoletani, creati piegando su loro e stesse e sigillando agli estremi delle piccole strisce di pasta fresca.
Quasi come a dire che questo formato possa essere il papà (o il nonno) del pacchero estruso del Sud Italia.
Ricettina?
200 g farina di grano tenero 00
100 g semola di grano duro
1 uovo
70 ml acqua
30 ml Vermentino
5 ml olio extra vergine di oliva
Impastare come sempre le due farine fino ad ottenere un composto omogeno e consistente. Lasciare riposare e poi tirare a mattarello. Fare delle strisce da 2 cm di larghezza per 10 di lunghezza spesse circa 2 mm e formate dei cilindri (ricordate i paccheri?!?), metterli in fila appoggiati in un contenitore per farli asciugare. Condimento: burro fuso, parmigiano e maggiorana fresca.
Anche oggi spero di aver dato qualche idea ai ristoratori per differenziare il proprio menù!