Il recente incontro con il senatore Centinaio sembra aver scongiurato il rischio di un vincolo normativo sulle denominazioni dei prodotti a base vegetale che richiamano termini tipici della salumeria, macelleria e pescheria. Resta fondamentale sottolineare che equiparare questi prodotti alla carne sintetica non sarebbe corretto. Mentre per i produttori questa situazione potrebbe sembrare paradossale, per gli chef, decidere se cambiare o meno le denominazioni non rappresenta un problema di rilevanza.
Carne Vegetale o carne sintetica? Cosa dice la legge
Mentre l’inflazione, i rincari nei generi alimentari e le crisi delle materie prime attanagliano l’Europa, sembra che le istituzioni attribuiscano priorità allo scandalo delle “bresaole veggie” e degli “hamburger di tofu”. La confusione suscitata tra i consumatori dalle diciture “polpette vegetali” o “grigliata di seitan” non può essere sottovalutata. In Francia, è in corso un processo legislativo per vietare l’uso di termini legati alla carne per prodotti a base di proteine vegetali. Questa decisione ha suscitato un acceso dibattito anche in Italia, coinvolgendo sia i governanti che le associazioni di categoria.
L’emendamento del Senato
A luglio, le aziende del gruppo Prodotti a Base Vegetale di Unione Italiana Food hanno espresso “profonda delusione e preoccupazione” per l’approvazione dell’emendamento in Senato. Si tratta di prodotti che fanno parte delle abitudini alimentari di oltre 20 milioni di italiani da oltre 30 anni, scelti per motivi di salute, etica e preferenze alimentari. La chiarezza nelle etichette è sempre stata un punto di forza, permettendo ai consumatori di valutare gli ingredienti e i valori nutrizionali.
Il comparto dei prodotti plant-based è in costante crescita in Italia, con un fatturato di 680 milioni nel 2022 e una crescita del 9%. Questa categoria è diventata popolare grazie all’evoluzione nei consumi degli italiani. Sonia Malaspina, presidente del Gruppo Prodotti a Base Vegetale di Unione Italiana Food, sottolinea che questi prodotti sono frutto della lavorazione di materie prime vegetali di origine agricola che rispecchiano la dieta mediterranea.
Malaspina ironizza sulle denominazioni tradizionali della cucina, come il “salame di cioccolato” dell’infanzia o le “polpette di melanzane”, e si chiede perché ora si ponga il problema quando i consumatori sanno benissimo cosa stanno acquistando.
Il punto di vista degli chef
Il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, afferma che i prodotti a base vegetale non hanno nulla in comune con il cibo coltivato in laboratorio. Sono realizzati con materie prime agricole tradizionali, come verdure, cereali e legumi, che fanno parte della cultura alimentare italiana.
Per gli chef, sembra che la possibile evoluzione normativa non cambi molto. Alcuni, come Lorenzo Murray di Classico Trattoria & Cocktail a Milano, accettano le nuove nomenclature senza problemi. Altri, come Antonio Guida del Seta al Mandarin Oriental Hotel di Milano, vedono questa evoluzione come uno stimolo per utilizzare la fantasia e creare nomi di piatti più originali.
In sintesi, il dibattito sulla nomenclatura dei prodotti a base vegetale continua, ma per gli chef sembra che la questione non cambi molto nel loro modo di operare.