Ci siamo soffermati in questa rubrica tempo addietro su di un formato di pasta ripiena sarda molto particolare, con un tipo di chiusura tanto bello quanto complesso: i culurgiones.
Li avevamo conosciuti rivisitati da un nostro amico ristoratore, Vincenzo Patti, siciliano di Partinico trasferito all’estero, che ci ha deliziato con i suoi culurgiones filigranati al nero di seppia.
Oggi torniamo alle origini, alla tradizione, e parliamo non soltanto di questo formato ma anche di suo cugino, (grado di parentela approssimativo!) ossia del tortello con la coda piacentino.
Il tortello, i suoi cugini e…
Iniziamo con i culurgiònes ed in particolare con i vari nomi con cui in lingua sarda si definisce questo tipo di pasta ripiena: culurgiònis, culurjònis, culurjònes, culurzònes, culijònis, culunjònis, culinjònis, mentre in italiano suonano come culurgiòne o culurgiòni. In alcune zone della Sardegna sono anche conosciuti anche come angiulotus, ossia agnolotti.
Esistono principalmente due varianti: la variante dell’ogliastrino, dal 2015 prodotto IGP ossia i “Culurgionis d’Ogliastra”, tipicamente la versione a base di patate, pecorino e menta, specialità culinaria tipica della subregione barbaricina dell’Ogliastra. La seconda variante comprende quelli nel resto dell’Isola che adottano ricette diverse, come quella della Gallura, che aromatizza il prodotto con scorza di limone o arancia. L’aglio è presente come elemento caratterizzante nel ripieno ogliastrino, anche se si trovano varianti con la cipolla.
Se scendiamo nel Campidano, Sardegna meridionale, esistono altre ricette dei culurgiones: la sfoglia è preparata sempre con semola di grano duro, ma il ripieno è di ricotta fresca di pecora o di capra, uovo e zafferano. Oppure con l’aggiunta, in alcuni casi, di pecorino sardo, noce moscata, bietole o spinaci.
Il condimento tradizionale in questi casi è un buon sugo di pomodoro fresco, peperoncino e basilico ed una spolverata di pecorino o altro formaggio grattugiato. Se ci trasferiamo a Teulada, qui si predilige invece una ricetta più semplice con un ripieno di formaggio fresco di capra (meno frequente quello di pecora) nei culurgiones (culixionis in teuladino) di forma quadrangolare. Solitamente il condimento utilizzato è il sugo di pomodoro con una spolverata di formaggio stagionato di capra.
La chiusura a spighetta
Fatto questo excursus sulle varianti, un punto fisso tipico rimane la tipologia di chiusura detta a spighetta (spighitta in sardo) che consiste nel pizzicare con maestria la sfoglia con indice e pollice risalendo dal basso verso l’alto del tortello appoggiato nell’incavo della mano. Sembra facile, ma assolutamente non lo è: solo pratica e dita piccoline aiutano ad ottenere un risultato che possa essere soddisfacente agli occhi di un pastaio sardo professionista.
Naturalmente anche qui esiste una variante, ossia la chiusura non solo in un senso, ma da entrambi i lati, che può essere trovata nei paesi di Talana, Urzulei, Ilbono e Bari Sardo.
Piatto ad effetto sia per dimensione, importante – anche se gli Ogliastrini sono leggermente più piccolini – sia per tecnica di preparazione che, se effettuata di fronte al cliente, garantisce il famoso effetto WOW che non fa altro che portare clientela al nostro locale.
Trasferiamoci “in continente”, nella regione patria della pasta fresca fatta a mano: l’Emila Romagna. Ci addentriamo in particolar modo nel piacentino e andiamo a conoscere il tortello con la coda che, come indicato in apertura, è un cugino del culurgiones sardo e che ha nel suo DNA la chiusura anche in questo caso a spiga, che termina con “una coda”.
La storia del tortello e non solo
Se vi interessa un poco di storia da trasmettere i vostri clienti, sappiate che videro la luce circa a metà del 1300, quando al Castello di Vigolzone, il feudatario dei Visconti Bernardo Anguissola ospitò l’illustre Francesco Petrarca.
In onore della illustre presenza, le cuoche del maniero inventarono un nuovo tipo di formato di pasta ripiena che, a differenza dei famosi tortelli, avevano appunto una coda che li chiudeva.
Riconosciuti con il marchio De.co. dal comune di Vigolzone, sono un piatto che mette d’accordo tutti coloro che transitano in questa zona al confine con 3 regioni differenti, tanto che il poeta locale Valente Faustini gli dedicò una poesia, nel 1913, che diceva come i turtei fossero un piatto degno di un re.
“Al turtel (quand al capitta) l’è cme al libar ad la vitta” …“in sla tàvla anca dal re”
Sfoglia sottile di farina 00 e uova, ripieno di ricotta, spinaci, grana padano piacentino, sale e noce moscata. Condimento tipico? Burro e salvia. Questo tipo di tortello ha una fora, come detto, che ricorda quella dei culurgiones sardi nella spiga a chiusura; anche qui la manualità e l’esperienza sono determinanti per un buon risultato finale.
Crediti: La Pasta di Nadia
Ringrazio in questa sede il Pastificio Gemat di Giampiero Carta di Tortoli per la foto dei culurgiones e la Pasta di Nadia Peveri di Roveleto in provincia di Piacenza per le foto dei tortelli con la coda. Come sempre interessanti spunti per attrarre clientela utilizzando la tradizione.