Sangiovese United. Se mettessimo in campo tutti i vini e relative denominazioni basate su questo vitigno avremmo, calcisticamente parlando, un bello squadrone. Uno in grado di essere, in campo, in cima alla classifica e sugli spalti al vertice delle graduatorie di gradimento. Se per legittimare il primato sportivo basterebbe scomodare quel top player che è il Brunello di Montalcino, anch’esso prodotto con uva Sangiovese, per la questione tifosi sarebbe sufficiente portare all’attenzione un dato incontrovertibile
Questa varietà, di fatto, deve avere molti supporters, visto che, quantitativamente parlando, è il vitigno più coltivato in Italia. La fama, si sa, va spesso di pari passo con i risultati, nel calcio come nel vino. Per questo il palmares del Sangiovese deve molto a un ‘giocatore’ che ne ha fatto le fortune tanto in un ideale campionato nazionale dei vini, quanto, e forse soprattutto, in campo internazionale. Parlo del Chianti Classico.
Se volessimo paragonare questa tipologia, sempre fondata sulla varietà Sangiovese (per produrre un Chianti Classico se ne deve utilizzare almeno l’80%), a un calciatore, potremmo pensare a un atleta versatile, per dirla in linguaggio tecnico ‘un universale’. Uno capace di coprire tanti ruoli, da quello di difensore del vino rosso italiano nel mondo, a referenza che, per le sue doti di bomber, ha sbaragliato, nel gusto, ben più blasonate eccellenze enologiche italiane e internazionali. Tutto questo grazie ad una capacità tattica secondo cui il Sangiovese nel Chianti Classico sa adattarsi ai campi su cui ‘gioca’, sino ad assorbirne, in tutti i sensi, le caratteristiche. Nonostante questa duttilità, il vino che qui si produce ha faticato a scrollarsi di dosso una serie di zavorre, che ne hanno limitato la brillantezza dello stato di forma. Non parlo solo della confusione tra Chianti e Chianti Classico, ma soprattutto di un’incertezza legata allo stile espressivo del vino che si produce in quest’area. Mi riferisco in particolare alla tendenza, sempre meno diffusa per fortuna, a voler dar vita a vini colorati, dal sorso denso, scolpito, ma spesso troppo concentrato.
Insomma una versione supertuscanizzata di un vino che, anche storicamente, era sempre stato l’esatto contrario. Il Sangiovese nel Chianti Classico possiede, di norma, un colore scarico, oltre ad uno stile gustativo in gran parte determinato – come detto – da quel ‘campo di gioco’, in totale siamo a cavallo dei 7000 ha, che annovera terreni più o meno pesanti, geologicamente determinati da argille, galestro e alberese. L’intreccio di variabili si complica ulteriormente, visto che nell’area di produzione abbiamo variazioni legate alle esposizioni e alle altitudini. Fattori in grado di influenzare il Sangiovese dando così vita a profonde differenze, ad esempio, tra i vini di Castellina – il cosiddetto Chianti Classico di collina – e quelli di Greve, notoriamente più delicati e in grado di esprimersi compiutamente già in giovane età. Per questo oggi non serve far capire al pubblico cosa sia il Chianti Classico, messaggio a cui si è dedicato il consorzio di tutela sin dalla sua fondazione, avvenuta ben 300 anni fa, ma piuttosto far comprendere che di Chianti Classico non ne esiste uno solo.
Se in Italia tuttavia abbiamo milioni di commissari tecnici, anche in rapporto a questa tipologia accade spesso che ognuno abbia diverse opinioni in merito alle scelte legate alla produzione: botte grande, botte piccola, cemento, acciaio e via dicendo, senza contare la scelta relativa all’impiego dei vitigni accessori. Non di solo Sangiovese vive il Chianti Classico. Nonostante esistano purissimi, e rarissimi, esemplari basati su questo vitigno, storicamente questa tipologia si basava su piccole, al massimo per un 20%, aggiunte di altre uve a bacca nera. Se la tipicità parla degli autoctoni Colorino e Canaiolo, nel recente passato sono stati utilizzati anche il Cabernet Sauvignon e il Merlot. Per il resto il Chianti Classico viene affinato sempre per un anno, mentre quello chiamato ‘riserva’ viene sottoposto ad un invecchiamento della durata di due anni. Di recente è stata infine introdotta la cosiddetta Gran Selezione. Il vertice della produzione del Chianti Classico che presuppone il solo utilizzo di uve aziendali, spesso ricavate da un cru, fatte successivamente affinare per oltre 30 mesi.
Un grande innesto per una squadra, quella del Sangiovese e per certi versi anche del Chianti Classico, che, probabilmente, si appresta a dominare il prossimo campionato del gusto.
Chianti classico: un fuoriclasse nella squadra del Sangiovese
Luca Gardini