Se per vegetariani e macrobiotici il seitan è un alimento ben conosciuto, parte integrante della propria dieta, per molti è ancora un alimento totalmente sconosciuto. Non è da molto tempo infatti che questo singolare prodotto si fa trovare, non solo nei negozi bio specializzati, ma persino nei banchi frigo di alcuni comuni supermercati. Ma cos’è il seitan? Che origini ha? Come si usa? Quali caratteristiche ha? Fa bene? Facciamo chiarezza.
Il seitan è sostanzialmente un concentrato di glutine di grano e presenta quindi una consistenza più o meno elastica e compatta a seconda del produttore ed è molto ricco di proteine sul piano nutrizionale.
Originariamente chiamato kofu, che in giapponese significa appunto “glutine di grano”, fu successivamente rinominato seitan (dal giapponese say-tan, ossia “proteina ideale”). A cambiarne il nome fu George Osawa, esperto di alimentazione macrobiotica. Il seitan è un alimento molto antico e la leggenda vuole che siano stati i monaci buddhisti ad inventarlo, proprio per persuadere i fedeli ad assumere una dieta vegetariana, nel nome della non violenza. Questo alimento assume infatti sembianze simili alla carne, sia nell’aspetto che nel modo di trattarlo dopo il suo confezionamento di base. Anche le proprietà nutritive sono simili. L’apporto di proteine è di circa il 20% ma presenta allo stesso tempo l’aspetto positivo dell’assenza del colesterolo e un basso contenuto di calorie, circa 120 ogni 100 grammi di prodotto. Per le sue caratteristiche è altamente digeribile per la maggior parte di noi. I celiaci, ovviamente, non potendo mangiare alimenti contenenti glutine, non possono consumare questo alimento a base di glutine. Il seitan è invece particolarmente indicato per chi sceglie di adottare una dieta vegetariana o vegana, tenendo comunque in considerazione che la proteina del seitan manca di lisina, un amminoacido che è comunque contenuto nella salsa di soia in cui viene cotto e nei legumi.
Ci sono due modi di confezionare il seitan a casa. Il metodo tradizionale di preparazione prevede un impasto di farina di grano che viene lasciato riposare qualche ora in un’immersione di acqua tiepida. Questo serve a predisporre l’impasto all’allontanamento dell’amido dal glutine con lo scopo di ridurre lo spreco d’acqua della fase successiva. Più forte sarà la farina e maggiore sarà la quantità di prodotto che riusciremo ad estrarre dall’impasto. Per questo motivo viene normalmente utilizzata la farina Manitoba. Nel frattempo si può passare alla preparazione del brodo di cottura che viene tradizionalmente preparato con una radice di zenzero (in realtà è un rizoma) a pezzetti, un pezzo di alga kombu e abbondante salsa di soia. Successivamente si lavora l’impasto in uno scolapasta e sotto un getto d’acqua tiepida, regolato in modo che sia lieve ma continuo. Dopo circa venti minuti l’impasto sarà diminuito notevolmente di volume e presenterà una consistenza molto elastica. A questo punto il glutine viene avvolto in panni di lino e messi a cuocere per un’ora, un’ora e mezza nel brodo.
L’altro metodo, più veloce e per certi versi più versatile, è quello dell’impasto ottenuto direttamente dalla farina di glutine, facilmente reperibile nei negozi di alimenti naturali. Questo metodo è interessante perché permette di mettere nella farina erbe, altre farine, come ad esempio quella di legumi, aromi o spezie che con il metodo tradizionale verrebbero lavate via. Non solo la lavorazione è più veloce, dato che si tratta solamente di aggiungere acqua alla farina e mettere l’impasto così ottenuto nel brodo, ma anche la cottura che dura circa la metà rispetto al metodo tradizionale.