Francesco Panella è un ristoratore e imprenditore romano, titolare del ristorante Antica Pesa (con sede a Roma e Brooklyn) e volto televisivo conosciuto per i diversi programmi di cui è conduttore, uno su tutti Little Big Italy. Autore di libri su ristorazione e ricette, Francesco Panella ha fatto della tradizione e della ricerca le sue parole chiave, con un occhio sempre attento all’autenticità dei suoi format e alla sana imprenditoria.
L’intervista a Francesco Panella
Recentemente sei diventato partner operativo di Gioia. Ci racconti in cosa consiste il progetto?
Ho girato tantissimo gli Stati Uniti, sia per conto mio e per la trasmissione Little Big Italy. Mi sono innamorato di Chicago perché è una città incredibile che ho sempre guardato con grande attenzione. Lì si è aperta un’opportunità con Federico Comacchio, un bravissimo chef che ha scelto di lavorare proprio a Chicago. Ha aperto un ristorante e dopo l’apertura mi ha chiesto di dargli una mano, di entrare in contatto con Gioia e quindi ho preso la palla al balzo. È un posto bellissimo dove si mangia cucina italiana, c’è una cucina grandissima con una zona esterna: sono molto contento.
Qual è stata la leva che ha dato il via alla collaborazione?
Conoscevo già Federico Comacchio, alla fine in questo settore bene o male ci si conosce un po’ tutti.
La cucina di Gioia è basata sulle tradizioni italiane, però rielaborate in una chiave più contemporanea e rivisitata dallo chef. Ma rispetto ai locali che generalmente si trovano all’estero che propongono cucina italiana, Gioia si differenzia nel cercare di crescere come ristorante contemporaneo italiano, ma senza cambiare troppo le ricette tradizionali, andando incontro a quelle che sono le ricerche e le nuove tecniche.
Credo questa sia la visione giusta per andare avanti a raccontare le nostre ricette meravigliose, non tenendole fiacche ma cercando di innovarle. Tante ricette italiane a volte tendono ad essere un po’ cariche, no? Adesso invece si va verso un mondo dove devi stare attento a tante cose e quindi alleggerire i piatti.
Ci sono infatti sempre più locali all’estero che propongono cucina italiana…
E il vantaggio di Gioia è che è veramente un locale italiano! La maggior parte di quei ristoranti sono di vecchia generazione, sono sistemi che remano contro il cambiamento. Possiamo dire che tutta la nuova generazione dei ristoratori italiani che stanno andando in America, grazie anche ai social che hanno dato e hanno portato una incredibile visibilità verso l’autenticità dei piatti italiani, cercano di rappresentare la contemporaneità e l’originalità.
La forza e il coraggio di imprendere all’estero e di imporci come avremmo dovuto secondo me è un rammarico che io sento sempre.
Collaborare per una tutela maggiore del Made in Italy
Cosa si potrebbe fare per tutelare di più il marchio Made in Italy e la sua autenticità?
La rete consolare deve agire di conseguenza e mettere a disposizione gli strumenti opportuni ai ristoratori. È un processo fondamentale per noi. Proviamo a immaginare lo scenario internazionale, dove ognuno vuole controllare il proprio prodotto: è chiaro che ognuno cerca di spingere prodotti propri in questo scenario confuso e lo fa sfruttando anche altri marchi pur di vendere qualsiasi cosa.
Il Made in Italy deve riuscire a trovare la chiave per collaborare, inserirsi nei nuovi mercati cercando di cooperare il più possibile, non perdendo quello che è la propria caratteristica intrinseca (in Italy). Si dovrebbe immaginare come un “Made with Italy”. Questo è quello che penso io: è una visione particolare, però dobbiamo renderci conto che i paesi in cui noi cerchiamo di penetrare, più avanti arriviamo e più cercheranno di “fare resistenza”, quindi bisogna avere l’astuzia di entrare dentro queste realtà e collaborare con loro.
La cucina tra l’Italia e l’estero: cosa ne pensa Francesco Panella
Parlaci di Little Big Italy: come è nato e come si è evoluto il programma?
Ho aperto il mio locale a New York circa 12 anni fa e come imprenditore avevo bisogno di mettermi in discussione e trovare una nuova strada. Sono venuto a contatto con tantissime realtà, anche italiane, e mi sono emozionato nel parlare con persone che hanno messo in discussione tutto attraversando l’oceano per mettere radici in un territorio che non si conoscevano. Mi ha fatto venire il bisogno di raccontare queste realtà, queste storie. È cambiato l’entusiasmo, sicuramente è migliorato: voglio raccontare sempre di più, conoscere sempre di più. Sono famelico in questo.
Quali differenze vedi tra la ristorazione italiana e quella estera?
In Italia abbiamo perlopiù una ristorazione residenziale, una piccola parte è stellata e in una bassa percentuale è corporate. In America è tutto il contrario: è molto più corporate ed è molto più organizzata.
Qui abbiamo il valore delle famiglie che sono all’interno delle imprese a impreziosire le attività.
Quando metti in gioco tutto, l’incertezza che ti crei rafforza la voglia di riuscire nel tuo business. In America, invece, è la parte economica che ha più importanza.
Risolvere la crisi del personale investendo sui giovani
Sei molto legato ai giovani e porti avanti vari progetti in scuole e università. Quale potrebbe essere una strategia per attirare nuovi volti in questo settore?
Sicuramente parliamo di un settore che nel tempo è cambiato, ma il fulcro della questione sta nel riconoscimento: un dipendente per essere invogliato a lavorare deve essere pagato, essere trattato con rispetto, deve essere parte della tua azienda, su di lui va fatta formazione. Occorre cercare di portare valore a questi ragazzi facendo capire loro quanto bello è questo lavoro.
Impegniamoci un po’ di più noi imprenditori: io agisco per conto mio, dove lo spazio di impresa mi fa ragionare. Se nessun altro ti aiuta, ti aiuti da solo. Questa mentalità tutta italiana dove le colpe sono sempre di qualcun altro (lo Stato è il migliore capo espiatorio) è la peggior cosa.
Ai cento anni di Antica Pesa hai dedicato un libro di ricette, frutto di storia e studio delle tradizioni. Cos’è per te Antica Pesa?
È una casa. Ho sempre passato molto tempo al ristorante: i miei nonni lì hanno vissuto guerre, momenti belli e meno belli. Ma l’unico comune denominatore che poi trovare in questi centro anni c’è l’ossessione maniacale di proteggere il nostro brand e di comunicare una cucina schietta e sincera tutti i giorni.