Home Restaurant: come organizzare l’attività in attesa della normativa

Avvocato Barbara Calza

Avvocato Barbara Calza

Il presente articolo è stato rettificato da Gaetano Campolo, CEO e Founder di Home restaurant Hotel srl. Clicca qui per leggere la replica.

 

Sei appassionato di cucina, ti piace cucinare per i tuoi amici, ami la compagnia e conoscere persone nuove, disponi di un appartamento e non disdegni l’opportunità di guadagnare qualcosa dalla tua passione? Se rispondi a queste caratteristiche, sei un ottimo candidato per avviare un home restaurant.

La caratteristica principale dell’home restaurant è infatti quella di non essere un’attività organizzata da professionisti del settore ma da principianti che mettono a disposizione pochi coperti nei propri appartamenti in determinate serate, pubblicizzate attraverso i social.

È un fenomeno da ricondurre alla sfera della cosiddetta sharing economy: quelle attività imprenditoriali che hanno come comune denominatore l’iniziativa di privati cittadini.

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Come si è diffusa questa attività?

Nata intorno agli anni 2000 negli Stati Uniti, l’attività di home restaurant ha successivamente preso piede anche in Europa e in Italia, tanto che è stata oggetto di una proposta di legge del 2015 (“DDL”) approvata alla Camera nel gennaio 2017 ma tutt’oggi ancora ferma al Senato anche a seguito della bocciatura da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Quest’ultima, aveva infatti ritenuto che il DDL introducesse limitazioni all’esercizio dell’attività di home restaurant, in particolare prevedendo l’occasionalità dell’attività, la provenienza dei prodotti utilizzati prevalentemente a Km 0, un massimo di 10 coperti al giorno (500 coperti l’anno), entrate non superiori a 5.000 Euro annui, prenotazioni effettuabili solo online e pagamento tracciabile.

Il Garante aveva considerato queste limitazioni del tutto ingiustificate e tali da limitare indebitamente tale modalità alternativa di servizio di ristorazione, introducendo obblighi che non sono normalmente a carico degli operatori tradizionali e risultando, quindi, discriminatoria per gli operatori degli home restaurant. Da allora, dal punto di vista normativo, tutto è rimasto fermo.

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Il fatto che non esista ancora una legge ad hoc che regoli questa attività non comporta però una totale assenza di norme da rispettare. Infatti, già nel 2013, il Ministero dello sviluppo Economico con nota n. 98416 classificava come attività di somministrazione di cibi e bevande quella effettuata da un soggetto, proprietario di una villa, che intendeva preparare cibi e bevande nella propria cucina fornendo tale servizio solo su specifica richiesta e prenotazione.

Successivamente, con la risoluzione numero 50481 del 10 aprile 2015, lo stesso ministero qualificava giuridicamente questa attività paragonandola all’attività di somministrazione di cibi e bevande e, quindi, sottoponendola alla disciplina della legge n. 287/1991 così come modificata dal D.lgs. 59/2010, dove all’art. 1, comma 1 prevede che “per somministrazione si intende la vendita ed il consumo sul posto” in “…tutti  i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo autorizzati”.

A tutt’oggi, pertanto, in attesa di una auspicata specifica normativa, all’attività in questione si applicano le disposizioni di cui all’art. 64 del D.Lgs. 59/2010. Da ciò ne deriva l’obbligo, per il titolare che intende dare inizio a questa attività, di possedere i requisiti di onorabilità e professionalità di cui all’art. 71 del D. Lgs. 59/2101 e, quindi, l’aver frequentato corsi professionali per il commercio riconosciuti o l’aver esercitato attività di impresa nel settore alimentare o di somministrazione di cibo e bevande per almeno 2 anni nei 5 anni precedenti o, infine, essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o laurea triennale o diploma triennale presso un istituto professionale attinente.

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Qual è il passo successivo?

Una volta appurata la presenza di detti requisiti, occorrerà presentare la SCIA (con la comunicazione degli orari di apertura e di esercizio) o richiedere l’autorizzazione, ove trattasi di attività svolte in zone tutelate (nel caso in cui, a causa dell’ubicazione del home restaurant, vi possono essere problemi di controllo del territorio in merito alla somministrazione di bevande alcoliche).

Inoltre, l’esercizio dell’attività di somministrazione deve rispettare le norme urbanistiche, edilizie igienico-sanitarie e di sicurezza nei luoghi di lavoro. Pertanto occorrerà conseguire l’attestato HACCP, mettere a norma i locali e svolgere correttamente tutte le operazioni di conservazione ed imballaggio degli alimenti.

In conclusione

Infine, è bene ricordare che, nonostante non sia previsto un obbligo (contenuto invece nel DDL), sia inoltre opportuno assicurarsi dai rischi derivanti dall’attività, attraverso la stipulazione di una polizza assicurativa RC verso terzi sia per l’attività che per l’abitazione, per eventuali danni causati a terzi.

Si segnala, in ultimo, come il Ministero dell’Interno, sulla base delle sollecitazioni ed indirizzi provenienti dall’Unione Europea, già nel febbraio 2019 abbia espressamente escluso che l’home restaurant possa essere ricondotto alla ristorazione classica: questo elemento costituisce certamente un’apertura importante nella futura ed auspicata disciplina specifica dell’attività.

 


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