Gli italiani spendono tanto al ristorante… (e lo faranno ancora)

Lorenzo Ferrari

Lorenzo Ferrari

Quanto spendiamo al ristorante?
Ho da poco ripreso in mano il libro La Società Signorile di Massa di Luca Ricolfi. Voglio approfondire un poco le tematiche trattate.

Durante l’introduzione il professore ci chiede di vestire i panni di un marziano, appena sbarcato sulla terra, che si guarda intorno.
Da un lato potrebbe incappare in un telegiornale, il quale snocciolerebbe le solite notizie catastrofiche una dopo l’altra: la disoccupazione è alle stelle, milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, i giovani sono allo sbando e tutto sembra sul punto di implodere. Dall’altro potrebbe guardarsi semplicemente intorno. Vedrebbe ragazzi che apericenano, telefonini da 1.000 euro che neanche li regalassero, weekend al mare, in montagna, vestiti firmati, bella vita su Instagram e una televisione per stanza.

A chi dovrebbe credere il nostro marziano? Ricolfi si interroga a riguardo, e cita parecchi dati. Con i dati dimostra ciò che era possibile intuire basandosi sul buon senso: le cose non vanno poi così male.

In particolare mi ha colpito una ricerca, dove, incrociando dati Istat con altri da lui raccolti, arriva ad un risultato sorprendente: delle 23.738 famiglie italiane, solo una forbice che varia dal 3,2 al 5,3% si può considerare povera.
Letto al contrario, significa che il 95-97% delle famiglie italiane ha consumi da ricca o, meglio, “signorili”.

Attenzione: non significa capacità di spesa, o intenzione, ma significa proprio spesa: cioè si permette consumi ben al di sopra di quelli a cui un vero (e non presunto) povero potrebbe mai accedere. Le considerazioni sociologiche e economiche le lascio al buon Ricolfi nel libro suddetto, ma mi sento di condividere una riflessione. Quando pensiamo che:
• in Italia ci sia la crisi
• la gente non spenda più
• se si alzano i prezzi i clienti fuggono a gambe levate
ci stiamo semplicemente sbagliando.

I fatti smentiscono…

Purtroppo i dati e i fatti ci smentiscono. I clienti spendono, e lo fanno bene – qualsiasi cosa significhi, a seconda della posizione geografica di ognuno di noi e a seconda della categoria di appartenenza – o sono disposti a farlo.

Insomma, in questo caso mi devo togliere il cappello da economista (che mi sta malissimo!) e mettermi quello da marketer. Utilizzando come leva il prezzo, se ci si promuove al mercato parlando di rapporto qualità-prezzo o se si è terrorizzati dall’alzare il prezzo perché poi non viene più nessuno, si incappa in un errore. Ma soprattutto ci si rivolge ad un target piccolissimo, che va dal 3,2 al 5,3% del totale.

Non solo. Perché se ci si rivolge a questo target – e si badi bene che ho massimo rispetto per il portafogli di tutti – qualsiasi capienza esso abbia, mi devo permettere di sottolineare come non sia il massimo della vita avere a che fare con un target che guarda il centesimo perché quel centesimo gli fa la differenza. Il mio non è classismo, ma puro e cinico realismo.

Del resto, se avessimo la possibilità, preferiremmo avere le sale del ristorante piene di gente “signorile” oppure di gente in gravi difficoltà economiche? Immagino che la risposta sia ovvia. Ma quello che non è ovvio è che la possibilità di scegliere ce l’abbiamo già.
Dobbiamo fare marketing in ristorante, per migliorare la percezione che i clienti hanno di noi, quindi alzare i prezzi e quindi… guadagnare di più.

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