Questione Champagne e Prosecco: due pesi e due misure?
A prima vista possono apparire due casi simili. In realtà, pur con una matrice comune (la denominazione), si tratta di due fattispecie distinte.
La prima riguarda il caso giunti avanti la Corte UE a seguito di un contenzioso promosso dal Comitat lnterprofessionnel du Vin Champagne (“CIVC”) – l’organismo che tutela i produttori di Champagne – contro l’utilizzo del nome Champanillo da parte di una catena spagnola di tapas bar che, sulla propria insegna, utilizzava come logo due coppe riempite di una bevanda spumante.
La seconda fattispecie riguarda invece la decisione della Commissione europea di procedere alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Ue della domanda di registrazione, da parte della Croazia, della denominazione Prošek come STG, Specialità Tradizionale Garantita.
La questione Champagne/Champanillo
Andiamo con ordine. Nella querelle Champagne/Champanillo, CIVC aveva chiesto che fosse vietato l’uso del termine Champanillo (“piccolo Champagne” in spagnolo) per violazione della DOP Champagne. Nonostante che, in questo caso, l’utilizzo del termine fosse riferito a servizi (di ristorazione) e non al prodotto in sé.
Dopo una prima decisione del Tribunale di prima istanza sfavorevole al CIVC, l’Audiencia provincial de Barcelona aveva portato avanti la Corte di Giustizia Europea la questione. Chiedendo alla stessa di pronunciarsi in via pregiudiziale circa l’interpretazione del diritto dell’Unione in materia di tutela dei prodotti coperti da denominazione di origine protetta (DOP). Nella fattispecie in oggetto in cui il termine in conflitto “CHAMPANILLO” veniva utilizzato per designare non dei prodotti ma dei servizi.
Come si è risolta?
Il 9 settembre 2021, la Corte UE si è pronunciata, precisando che il Regolamento (UE) n. 1308/2013 (recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli) protegge la DOP sia da condotte relative ai prodotti che relative ai servizi.
Precisa la Corte che la DOP ha quale fine quello (i) di garantire i consumatori che i prodotti agricoli muniti di un’indicazione geografica registrata presentino, proprio in virtù della loro provenienza da una specifica area, talune particolari caratteristiche e (ii) di garantire agli operatori agricoli che hanno profuso reali sforzi al fine di raggiungere livelli qualitativi elevati, una contropartita identificata nella maggiore redditività e nella possibilità di impedire a terzi di avvantaggiarsi abusivamente della notorietà derivante dalla qualità di tali prodotti.
La Corte ha dichiarato che la protezione garantita alle DOP dal Regolamento UE deve intendersi ad ampio raggio. Destinata quindi ad estendersi a tutti gli usi che sfruttano la notorietà associata ai prodotti protetti da una di tali indicazioni.
La Corte ha ulteriormente motivato la propria decisione sottolineando come il Regolamento non limiti la protezione ai soli casi in cui i prodotti o i servizi siano “comparabili o simili”. L’evocazione può essere frutto anche di una “vicinanza concettuale” fra la DOP e l’oggetto della contestazione. Per stabilire chi abbia ragione, bisogna accertarsi che il consumatore, in presenza di una denominazione controversa, sia o meno indotto a confonderla con il prodotto protetto dalla DOP.
Il caso Prošek
Il caso della richiesta di registrazione della denominazione Prošek da parte della Croazia si inserisce invece in tutt’altro contesto.
Prošek è un vino da dessert croato – ottenuto lasciando appassire i grappoli sui rami oltre il periodo di maturazione – prodotto in una zona molto circoscritta del sud della Dalmazia. Si tratta quindi di un passito dolce, che nulla ha a che spartire, se non forse le lontane origini e l’assonanza del nome, con il nostro Prosecco. Il Prošek, proprio per le modalità di produzione, ha delle rese molto basse e tempi lunghi, con una produzione limitata ed esportazioni pari allo zero.
Come detto, peraltro, non è improbabile ravvisare un’origine comune.
Alla fine del Cinquecento, nel momento di massimo splendore della Repubblica di Venezia, uno dei vini che va per la maggiore è il Prosecco nazionale. All’epoca si tratta però di un vino liquoroso, che si beve sia con piatti salati che dolci. Quel vino deve il suo nome ad una località, Prosecco, vicino a Trieste. La Serenissima controlla allora la Dalmazia e il Prosecco raggiunge anche quelle terre.
Solo nel 1821 un viticultore francese esperimenta la spumantizzazione del Prosecco. Da qui nasce il Prosecco moderno, che si diffonde in tutto il Triveneto. Nel frattempo il Prosecco dalmata, col tempo detto Prošek, rimane un vino dolce, senza evoluzioni.
Ciò detto, la richiesta croata non apparirebbe, a prima vista, come un tentativo di imitare il Prosecco. La stessa Croazia non ne richiede la registrazione come DOP – alla pari del nostro Prosecco – ma come STG, cioè Specialità tradizionale garantita. Una denominazione ben diversa.
Il 22 settembre 2021 la Commissione europea ha pubblicato sulla Gazzetta Ue la domanda di protezione della menzione tradizionale “Prošek”, presentata dalla Croazia, ritenendo la richiesta conforme ai requisiti di ammissibilità.
Un tavolo tecnico per discutere la richiesta
Questa decisione ha creato scompiglio tra i produttori del Prosecco italiano. La stessa Commissione è intervenuta affermando che l’accoglimento della domanda non equivale ad un’autorizzazione in relazione alla quale stanno attendendo le osservazioni dei produttori di Prosecco e delle relative associazioni a tutela dello stesso, che dovranno pervenire entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta.
A livello governativo, il Ministro per le Politiche Agricole Alimentari Stefano Patuanelli ha preso posizione. Anticipando l’attivazione di un Tavolo tecnico per predisporre una dichiarazione debitamente motivata relativa alle condizioni di ammissibilità. Con il fine di predisporre l’opposizione a quanto proposto dalla Croazia, ritenendo che non ci siano le condizioni giuridiche alla registrazione.
Anche l’Unione italiana vini (Uiv) ha già dichiarato di cercare alleati in Francia, Spagna, Portogallo e Germania. Affinché le federazioni vini di questi paesi presentino anch’esse mozioni contrarie all’indicazione della Commissione, condividendo la linea tracciata dal ministro alle Politiche agricole.
Si prevede una lunga battaglia con esiti finali incerti.