Siamo in una fase di transizione. Naturalmente più subita che non agita. E siamo anche in un momento di ripensamento globale. Che coinvolge tutti gli attori del processo di produzione e commercializzazione del vino. Sembra ancora più marcato rispetto al passato il ruolo che giocherà, negli equilibri di gestione del settore, la figura professionale dell’enologo.
L’Enologo Fabio Mecca
Ne parliamo insieme a Fabio Mecca, uno degli “astri nascenti” di questa difficile e spesso ingrata professione. Professionista che, dopo la laurea in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche a Conegliano Veneto, ha ormai raggiunto i 15 anni di carriera.
Origini lucane. Una carriera consolidata che nasce nell’azienda degli zii, Paternoster. Fabio è consulente di svariate realtà sparse tra Toscana, Campania, Lazio, Puglia, Basilicata e Calabria, focalizzandosi molto spesso sulla riscoperta di vitigni territoriali dimenticati. E fautore di una viticoltura molto spesso microterritoriale.
Intanto gli chiediamo cosa significa fare l’enologo in questo periodo decisamente travagliato. “Io rimango fedele ai principi che mi hanno mosso a diventare enologo anni fa. Ovverosia fare entrare la magia di un territorio, anche piccolo, nel bicchiere. Oggi si sente tanto parlare e straparlare di territorialità. In realtà a mio
avviso l’enologo è ancora quel professionista che entra in un territorio e si ‘cammina la terra’, capendo limiti e potenzialità delle zone, ma anche della cantina, e oltre a fare vino, che è il motivo principale per cui viene chiamato, si pone come un consulente a 360 gradi, vivendo l’azienda nella sua totalità, strategie, pianificazione e comunicazione comprese.”
Un assunto decisamente difficile, senza dubbio. “Ho la fortuna di essere il consulente di un bel numero di imprese, soprattutto piccole, sparse in un territorio molto vasto. È ovvio che molto del lavoro si svolge in campagna, in una gestione oculata che ormai si potrebbe considerare post-biologica. Nel senso che i principi di sostenibilità vanno anche adattati alla realtà che si vive, al di là del disciplinare e in un quadro di evidente cambiamento/trasformazione climatica. Proprio per questo, soprattutto in un periodo come il presente, è indispensabile che l’enologo capisca quali investimenti suggerire ad un’azienda, soprattutto quelle in fase di avvio o che stanno tentando un riposizionamento, perché il vino non è mai un business dal ritorno immediato. Capire questo è capire come va fatto, a mio avviso, il nostro lavoro anche nel futuro.”
Una prospettiva senza ombra di dubbio stimolante. Uno dei cardini su cui si giocherà la scommessa della ‘ripartenza’ post Covid-19. Gli chiediamo ancora se tra i tanti vitigni miracolosi che ha contribuito a riscoprire ce ne sarà qualcuno che potrà diventare protagonista in un prossimo futuro. “Ho la fortuna di lavorare in un territorio diffuso. Dalle caratteristiche pedoclimatiche di grande varietà.”
Fabio Mecca prosegue: “La Basilicata, ad esempio, è come se fosse diverse Regioni in una. Il Vulture ha caratteristiche completamente diverse dal Materano, come è ancora differente la spettacolare e misconosciuta zona del Grottino di Roccanova DOC, che nel prossimo futuro sarà alfiere di internazionali come Cabernet e Merlot. Ma anche del Montepulciano, vitigni che in questa zona assumono sfumature talmente uniche da poter essere considerati territoriali.”
Mecca aggiunge: “La Puglia, in particolare la zona di Foggia, potrà diventare il territorio del rilancio definitivo del Nero di Troia, un vitigno che adoro. Mentre nel Salento stanno dando risultati incredibili il Susumaniello e la Malvasia nera, altri vitigni riscoperti recentemente.”
Parla anche di altre importanti regioni: “Quanto alla Calabria, beh, la Calabria è una miniera d’oro delle varietà riscoperte. Cito volentieri il Pecorello, il Magliocco, il Montonico, che si stanno rendendo protagonisti di una vera rinascita enoica. Ma non è da sottovalutare, anche in una logica di differenziazione, la riscoperta di vitigni come il Gratena Nero in Toscana e una splendida linea di bianchi, tra cui Falanghina e Pecorino, in una zona come la Sabina laziale, in cui storicamente si sono affermati soprattutto vini rossi.”
Molti ribaltamenti di paradigmi, insomma. Fabio Mecca conclude: “Per come la vedo io la ripartenza sarà anche la voglia rinnovata di muoversi, sapere e conoscere. Sapere che in un determinato territorio è stata riscoperta un’uva che, al di là delle logiche commerciali, rappresenta un unicum, il ritorno alla saggezza e sapienza dei nostri avi, credo sia una leva di appetibilità enorme per fare scoprire qualcosa di ‘pulito’ ed inestimabile.”
E io, senza alcun dubbio, ne sono convinto come lui.
Per altri articolo di Luca Gardini, qui.