Primavera ed autunno, le classiche stagioni di mezzo che ormai esistono solo nei calendari e che di fatto, a causa di tanti fattori legati ai cambiamenti climatici e non solo, lì rimangono, negandoci quei piaceri che solo alcuni anni fa erano sinonimo di “passaggio” sia in termini astronomici ma anche e sopratutto in termini culinari.
Prendiamo in esame il nostro autunno, usciamo dalla stagione estiva dove hanno dominato i piatti leggeri, spiritosi con ingredienti il cui abbinamento con agrumi, frutta e fiori accompagnavano soprattutto i primi piatti e pietanze a base di pesce in un caleidoscopio di colori netti ed accattivanti; ed ora l’autunno, le prime nebbie ed i primi giorni freddi e piovosi dove lo stimolo principale è quello del “calore” sia esso nella tranquillità della casa o quello dei fornelli. Ritorna la voglia di degustare cibi più saporiti ed elaborati, si cerca nella stagionalità i prodotti più idonei alle nostre preparazioni: funghi, tartufi, castagne e cacciagione. Ognuna di loro vuol fare bella figura sulla tavola grazie anche al fattore “creatività” che ogni buon cuoco o semplice appassionato di cucina mette come ingrediente principale al piatto. Va da se che questi prodotti rivestono un valore importante, hanno tutti la loro impronta che può essere valorizzata sia da sola che in connubio tra di loro.
L’esempio più immediato è quello del tartufo bianco: una bruschetta con olio evo è la sua massima espressione olfattiva, nello stesso tempo non disdegna la pasta all’uovo, carni bianche o rosse.
I funghi nelle varie declinazioni micotiche si prestano, specialmente quelle nobili, quali ovuli e porcini, ad insalate ricche di gusto nella loro semplicità di preparazione, mentre le altre quelle meno nobili, si adattano benissimo come condimento a fumanti risotti o zuppe, magari con l’aggiunta di qualche castagna o qualche legume secco come fave o ceci.
Rimane la selvaggina, sia da piuma che da pelo: la prima si presta soprattutto per le preparazioni brasate o ad arrosto morto, magari con aggiunta di funghi un po’ legnosi che meglio sopportano la cottura, per passare ad aggiunta di olive o patè di olive per dare un tocco di amarognolo e smorzare la componente untuosa. La selvaggina da pelo, invece, oltre che nei classici salmì o stufati o spezzatini, che lascerei per i periodi più freddi, mi piace pensarla come ragù, sia bianco che con pomodoro per le paste o le prime polente, ma anche in alternativa come carne salata o marinata scegliendo, per la lavorazione, i tagli nobili sottoposti a queste tecniche di lavorazione poiché, essendo una carne nera, necessita di accorgimenti particolari e meticolosi per raggiungere un elevato grado di qualità e sicurezza alimentare.
Detto questo la preparazione è quella tradizionale dei carpacci e degli affumicati con aggiunta di olio evo e scaglie di formaggio stagionato secondo i propri gusti. Tutto ciò deve essere abbinato al vino che resta il pernio della tavola e se per il tartufo sono da preferire vini bianchi e profumati, caldi e rotondi, leggermente sapidi, nelle altre preparazioni possiamo spostarci su vini rossi giovani, anche briosi, con la parte olfattiva ben marcata e al gusto un corpo leggero, pochi tannini e buona sapidità; spostarsi poi su vini sempre rossi ma complessi, floreali e fruttati con note di frutta rossa e spezie, caldi e di corpo, con tannini evoluti e puliti e con una freschezza acida coperta per darci un buon fin di bocca e quindi una buona beva.
Magie d’autunno: tempo di tartufo!
Nicola Masiello