Negli anni passati ho analizzato i prezzi di vendita di ristoranti, osterie, trattorie, pizzerie, bar e street food in tutta Italia. Da est a ovest, da nord a sud, ho avuto la fortuna di mettere le mani dentro ai numeri di qualsiasi attività nel campo della ristorazione.
Ciò che ho notato è che viene compiuto un grave errore, causa di altrettanto gravi problemi finanziari, in fase di progettazione dei prezzi di vendita.
Infatti, quando domando secondo quale metodo abbiano scelto proprio quei prezzi, la risposta è sempre e comunque la stessa:
“Ho moltiplicato «per 3» il Food Cost!”
Insomma, si utilizza “ricaricare” il prezzo per un fattore variabile. Il «per 3» di questo esempio è puramente indicativo. In alcuni casi il ricarico corrisponde ad un «per 2» oppure un «per 3,5» e così via, a seconda del mio interlocutore e dagli obiettivo dello stesso.
Fatto sta che, indipendentemente dalla zona d’Italia in cui mi trovassi, sembrava che ogni Ristoratore scegliesse i prezzi dei propri piatti moltiplicando il Food Cost (cioè la somma dei costi delle materie prime che compongono un piatto) per un fattore variabile.
Come decidere il prezzo dei piatti
Prendiamo un piatto di spaghetti allo scoglio, aventi un food cost di 3€. Con ogni probabilità finirebbe sul Menù a 9€.
Se fosse un piatto di spaghetti alle vongole dal food cost di 2,5€? Finirebbe sul Menù a 7,5€.
E così via.
Questo ragionamento, per quanto sia diffuso ovunque, si basa su un presupposto sbagliato.
Per dimostrarlo, prendiamo i due piatti di pasta dell’esempio fatto in precedenza.
In entrambi i casi il “ricarico” era lo stesso: “per 3”
Stesso ricarico, certo, ma diversa marginalità. Che è ciò che conta.
Facciamo un rapido calcolo per convincerci di ciò. Gli spaghetti allo scoglio, aventi un food cost di 3€ e venduti a 9€, genererebbero una marginalità di 6€.
Mentre gli spaghetti alle vongole, aventi un food cost di 2,5€ e venduti a 7,5€ genererebbero una marginalità di soli 5€.
Un euro in meno.
La conseguenza è ovvia: vendere uno spaghetto alle vongole invece dello spaghetto allo scoglio genera una perdita di un euro.
Una piccola criticità, certo.
Ma una micro-criticità su macro-numeri genera una macro-criticità.
Questo mancato incasso è semplicemente frutto di un sistema di food pricing errato. Un semplice errore che, se ripetuto per ogni piatto presente sul menù, può generare conseguenze realmente gravi.
In sintesi, per quanto la politica più diffusa di food pricing sia quella di moltiplicare «per X» il food cost dei propri piatti, essa si rivela un procedimento non professionale, rustico ed inefficace.
La soluzione che consiglio è la seguente: cercare di uniformare quanto più possibile la marginalità (e NON il ricarico!) di ogni piatto che compone il menù.
Nell’esempio in questione, si sarebbe dovuto portare a 8,5€ il prezzo degli spaghetti alle vongole, per uniformare quel margine con quello degli spaghetti allo scoglio.
Così facendo infatti, le marginalità di entrambi i piatti sarebbero state fissate a 6€, rendendo di fatto equivalente la vendita di uno o dell’altro.
Per impostare una politica di food pricing corretta si prenderà sempre come riferimento il food cost dei propri piatti, ma invece di moltiplicarlo per un “fattore X” vi si sommerà un “addendo Y” che sarà ritenuto soddisfacente per il gestore del locale
Il calcolo di questo addendo (i 6€ dell’esempio di cui sopra) varia da caso a caso, da calcoli decisamente più complessi e da altre decine di variabili, ma è decisamente più corretto che utilizzare un ricarico “fisso” per tutti i piatti presenti a menù.
Buon lavoro!
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