Oggi vi propongo un viaggio nell’evoluzione dei primi piatti. Argomento che per ovvi motivi, mi sta a cuore più di altri.
Chi come me, per ragioni anagrafiche, ha vissuto gli anni ‘80 dal punto di vista culinario, non faticherà a ricordare le mitiche penne alla vodka e salmone oppure i tortellini panna e prosciutto (e piselli) accompagnati da una colonna sonora degli Spandau Ballet o dei Duran Duran, insieme alle immancabili crespelle e a tonnellate di panna.
Gli anni ‘90 che seguono sono un trionfo di paste fredde, si abbandona la panna e si intraprende un viaggio di fusilli pasticciati o conchiglioni ripieni, e iniziano a presentarsi piatti di pasta “vegetariani” con un uso elastico di questo termine.
Con il nuovo millennio la riscoperta della tradizione, quella vera, ci porta a considerarci dei fortunati scopritori del trittico romano gricia, cacio e pepe e carbonara che assieme alla salsa amatriciana (matriciana se rimaniamo a Roma) sono un caposaldo gastronomico italiano.
Inizio in quegli anni la professione attuale e lentamente accade l’inevitabile: contaminazione e fusion iniziano a fiorire nel mondo delle offerte gastronomiche, dandoci la possibilità di conoscere, oltretutto, sapori e tradizioni a volte lontani che potevano essere ad appannaggio solo di chi poteva viaggiare molto in terre remote.
Il Perù si impone con il ceviche, la moda del Poke Tahitiano inizia ad imperversare, il sashimi nipponico si afferma e i gusti orientali diventano all’ordine del giorno. Abbiamo già parlato di spaghetti fusion, soprattutto nella rivisitazione del Ramen con i tonnarelli di tradizione romana declinati in diversi colori e sapori sviluppati in un concept americano a Los Angeles, abbiamo accennato dei ripieni “marinati a crudo sous vide” creati per una start up canadese e continuo a ricordare con affetto i tagliolini alla caipirinha e camarao proposti a Florianopolis anni fa.
La “contaminazione” fra pasta e crudo di pesce diversamente marinato ha radici ben piantate nella mia coscienza: gamberi, granchio, astice, aragosta del Maine, scampi, branzino, orata, dentice finanche ad un semplice merluzzo sono stati la base di diversi piatti di pasta proposti con soddisfazione, all’estero. E in Italia? Pochissimi esempi o richieste, molto più facile trovare qualche cosa di simile affrontando un viaggio transoceanico.
Fintanto che, a 10 chilometri da casa mia, a Sestri Levante in provincia di Genova, vicino alla spettacolare Baia del Silenzio, in una domenica novembrina fra un volo e l’altro, non mi imbatto in un piatto che riassume tutto il mio credo attuale sul concetto fusion.
Un misto di tecnica e gusto che, seppur di facile realizzazione, non sempre porta al risultato sperato qui provato.
Lo Chef Daniele Guidi del ristorante Polpo Mario, classe ‘68, con una storia professionale in cucine di stellati quali Igles Corelli e Bruno Barbieri, propone una tartare di tonno dove le note della marinatura al lime (buccia e succo) si uniscono alla “risottatura” dello spaghettone di Gragnano con olio extra vergine di oliva, aglio, peperoncino e prezzemolo, unitamente alla bottarga di tonno e a una crema di aglio dolce a completamento.
Piatto del “recupero”, utilizza le carni un poco più nervose del tonno, secondo il concetto del “non si butta via mai niente”, imperativo in una cucina come quella di Daniele, che ha la possibilità di usufruire di un suo peschereccio per approvvigionarsi del pescato locale.
Che sia l’inizio di una nuova era di Pasta Poke?