Per la rubrica “C’era una volta”… Andarinos, lorighittas & Co

Danilo Curotto

Danilo Curotto

Nel nostro viaggio attraverso la tradizione più profonda della pasta italiana, che fa da protagonista a questa rubrica, facciamo sosta in Sardegna. Ad accompagnarci in questa avventura c’è Anna Saba, che già abbiamo conosciuto con su filindeu, una delle paste (se non la pasta) più rara del mondo.

Questa isola ha una storia pastaria molto interessante. È stata una grande produttrice di pasta esportata a Pisa e Genova. Da questa ultima al Basso Piemonte, al Sud della Francia e alla Catalogna.

I formati hanno in alcuni casi delle similitudini con altri che si ritrovano in continente, ma sicuramente vivono di storia propria. Iniziamo con gli andarinos.

Una delle prime testimonianze si ha nel XVII secolo grazie a Martin Carrillo, inviato del Re Filippo III di Spagna, giunto in Sardegna per verificare la situazione nell’isola. Nel suo rapporto, redatto a Barcellona nel 1612, indica che a Mamoiada gli vennero serviti come pietanza “los andarines”.

I vari nomi di questo formato di pasta vanno dagli “andarini” del padre domenicano Jean-Baptiste Labat agli “andarinus” del vocabolario italo-sardo di Giovanni Spano.

Lentamente le tracce di questa pasta si perdono ed alla fine del secolo scorso rimangono poche testimonianze circa questa formato, se non nel paese di Usini, a totale uso e produzione da parte delle donne del paese, prodotto tanto prezioso da essere il piatto dei giorni di festa trascorsi in famiglia.

Andarinos curotto

 

Solo a far data dal 2000, la Pro Loco di Usini ha riscoperto questa pasta, rivalutandola e facendola conoscere attraverso la manifestazione “Andarinos de Usini”.

Gli andarinos: una pasta particolare nella e nella forma

Parliamo ora un poco della forma, dato che ha delle similitudini con le trofie ligure, ma i punti di contatto con la pasta ligure finiscono qui. Gli ingredienti sono semola, acqua e sale. L’impasto, morbido ed elastico, viene lavorato assottigliandolo e formando dei listelli della dimensione di una unghia.

Questi vengono fatti roteare, premendoli sopra una superficie rigata con il polpastrello della mano fino ad ottenere tre o quattro giri con una forma finale molto simile alla trofie genovese. Però, a differenza degli andarinos, è prodotta con granito di grano tenero ed acqua bollente salata.

La forma finale porta in risalto dei decori dovute alle rigature in rilievo del chiliru di giunco o di asfodelo oppure, per ultimo, ma non per importanza, il vetrino su cui vengono pressati.

Il loro tradizionale condimento è il ghisadu di carni miste (pecora, manzo e maiale), con una grattata di pecorino sardo.

Si tratta di una variante del più tradizionale spezzatino a base di carne di manzo di origini spagnole, molto diffuso nella zona del Logudoro. Il termine ghisadu deriva dallo spagnolo “guisado” che significa, appunto, in umido.

Naturalmente è possibile condirli anche con sa bagna, il classico sugo di pomodori freschi unito (come sempre) ad una abbondante spolverata di pecorino sardo finale.

Se gli andarinos hanno destato interesse, figuratevi cosa possono destare le lorighittas.

Gli ingredienti utilizzati sono sempre semola ed acqua, ma qui la forma è molto più complessa ed artistica. Il nome indica gli orecchini, o meglio una treccina chiusa a formare un anello, dal sardo “loriga”.

La pasta della festa

Originarie del paese di Morgongiori, ai piedi del monte Arci, le lorighittas sono preparate per la festa di Ognissanti. Pensate che una donna abile nella preparazione può impiegare tre ore per farne un chilogrammo. Motivo per il quale oltre ad essere rare sono giustamente anche care, vista la manualità necessaria nella preparazione.

Dopo aver impastato semola, acqua e sale ed aver ottenuto il classico impasto sodo ed elastico, si prendono delle piccole porzioni ottenendo dei sottili cordoncini con i quali formare un doppio anello attorno all’indice e il medio uniti.

Una volta saldati i lembi, si utilizzano pollice e indice intrecciando fra loro i due cordoncini di pasta fino ad ottenere il classico anello ellittico intrecciato.

Si lasciano asciugare e, dopo la cottura, si condiscono con un buon sugo di pomodoro arricchito con carne di galletto ruspante, oppure con carne di maiale (o di cinghiale nelle famiglie più benestanti).

Facile? Vedendo Anna produrle sì, ma in effetti non è assolutamente così semplice.

I tesori nascosti della Sardegna

L’isola sarda è una miniera di tesori nascosti della storia artigiana pastaria. Per fortuna, oggi, persone come Anna Saba fanno da promotori di questa tradizione. E garantiscono la continuazione della stessa, che altrimenti andrebbe perduta per sempre.

Come sempre dico, la tradizione più vera deve essere fonte di ispirazione in ristorazione per offrire alla propria clientela degli elementi “innovativi”, che traggono ispirazione dalle nostre radici, che altrimenti andrebbero irrimediabilmente perdute.

È un lavoro bellissimo, di ricerca e riscoperta della nostra storia fatta a tavola nelle occasioni di convivialità vissute nel passato, dove la riunione della famiglia e delle amicizie più strette era un momento di celebrazione e la gastronomia era il modo per rendervi omaggio.

Nel nostro lungo viaggio alla scoperta della pasta, prometto che torneremo in Sardegna presto, alla scoperta di “is gravellus”. I Casulli Carlofortini, macarrones de busa, i ciciones ed i chiusoni

Per il momento, “a si biri cun saludi”!

Foto di Anna Saba


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