Rider e ciclofattorini: la realtà del food delivery e le sfide legali in Italia

Rider o ciclofattorini fanno parte, ormai da tempo, dello scenario urbano di piccole, medie e grandi città. Uomini e donne, ma in prevalenza uomini, trasportano pasti – e non solo – provenienti dai più diversi ristoranti e punti vendita di generi alimentari.

Lo fanno a bordo di velocipedi in genere assai rapidi, carichi di fluorescenti contenitori della merce trasportata, percorrendo strade ad ogni ora del giorno e della notte, per lo più in mezzo ad un traffico esasperante, binari del tram e pavimentazione sconnessa.

Gli interrogativi sul diritto del lavoro di rider e ciclofattorini 

Non a caso proprio attorno alla loro figura sono sorti interrogativi che hanno interessato aspetti tra i più decisivi del diritto del lavoro, quali la qualificazione giuridica del loro rapporto con le piattaforme tecnologiche che veicolano il servizio di food delivery, la definizione di tutele minime anche in termini di salario e di sicurezza, nonché il sistema delle relazioni industriali e la rappresentatività dei sindacati che operano nel settore.

rider e ciclofattorini

La peculiarità di tale figura è da ravvisarsi nel fatto che i rider si fanno materialmente carico di servizi – per l’appunto la consegna di cibo ed altro – che sono commercializzati dai proprietari delle piattaforme. Se da un lato le piattaforme facilitano l’incontro tra la domanda e l’offerta dei servizi, mettendo in contatto ristoranti e negozi con i consumatori finali, dall’altro hanno un ruolo determinante nella gestione del rapporto con il ciclofattorino.

Rider e ciclofattorini, la bipartizione del mondo del lavoro

È risaputo come il mondo del lavoro sia caratterizzato dalla fondamentale bipartizione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo e come dalla natura subordinata di un rapporto di lavoro discenda il riconoscimento in favore del lavoratore interessato di tutta una serie di garanzie che, viceversa, non spettano a chi subordinato non è (e.g., il diritto a una retribuzione sufficiente, il diritto al versamento dei contributi previdenziali, il diritto alle ferie nonché il meccanismo di protezioni previsto in caso di licenziamento illegittimo). In un’ottica antielusiva il legislatore italiano ha poi esteso la disciplina del lavoro subordinato anche ad “alcuni tipi di collaborazione morfologicamente contigue al lavoro subordinato”, ossia a quelle “collaborazion[i] … le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” e ciò “anche … mediante piattaforme … digitali” (c.d. collaborazioni etero-organizzate, art. 2, D. Lgs. 81/2015).

rider e ciclofattoriniLe sentenze sullo status giuridico dei rider in Italia

In Italia il tema dell’inquadramento giuridico dei rider è sotto i riflettori quantomeno dal 2018. Risale al maggio di tale anno la prima sentenza di un Tribunale italiano chiamato ad esprimersi sul carattere autonomo o subordinato di questo ruolo.

Sono seguite diverse altre pronunce che hanno interessato tutti i gradi di giudizio, sino alla Corte di Cassazione. Da ultimo, della questione è stato investito il Tribunale di Milano che si è pronunciato con Sentenza n° 6979/2023.

I Giudici, invero, nel pronunciarsi sulla natura del rapporto di lavoro con i rider, si sono sempre attenuti al principio per il quale non si può prescindere da una valutazione delle modalità con cui si svolge concretamene la prestazione. Insomma, in astratto il rapporto di lavoro con i rider può aver natura sia autonoma che subordinata; occorre poi vedere come davvero vanno le cose.

Quadro legislativo e sfide sociali per i rider e ciclofattorini 

In un primo tempo, i Giudici propendevano per la natura autonoma della prestazione lavorativa dei rider e ciò in ragione della libertà degli stessi di decidere se e quando renderla. Successivamente, hanno affermato che il rapporto di lavoro dei ciclofattorini costituiva una forma di collaborazione organizzata dal committente ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. 81/2015, con conseguente applicazione nei loro confronti della disciplina del lavoro subordinato. Le pronunce più recenti si sono orientate nel senso di qualificare il rapporto di lavoro con i rider come rapporto di lavoro subordinato tout court, riscontrandovi più elementi tipici di tale genere di contratto.

Se per ragioni sociali è difficile dissentire da tale orientamento, vuoi per l’esigenza di non lasciare che la prestazione del rider rimanga interamente regolamentata da una macchina, la piattaforma, vuoi per esigenze di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, vuoi per profili previdenziali ed assistenziali, va però ricordato che nel 2019 il legislatore col D.L. 101/ 2019, già stabiliva “livelli minimi di tutela per i lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore … attraverso piattaforme anche digitali”. In ogni caso, è in corso di adozione una direttiva europea che dovrebbe tracciare le linee cui gli Stati dell’Unione si dovrebbero attenere per una regolamentazione più completa della materia.

Sfruttamento e caporalato

E ben ve ne sarebbe bisogno se la cronaca registra episodi di vero e proprio caporalato tra rider, ancorché con le peculiarità del caso: a Milano, nel 2022, richiedenti asilo e persone senza permesso di soggiorno, che per tale ragione non potevano essere assunte dalle piattaforme di delivery, si prestavano a consegnare pranzi e cene con l’account di colleghi “regolari” che per il favore trattenevano una parte dei guadagni.

Sembra oggi impossibile fare a meno del food delivery. Senonché, anche sul fronte delle aziende più note e di maggiori dimensioni, le notizie non sono confortanti. È storia di questi giorni che Glovo e Deliveroo denuncino perdite miliardarie e che gli investitori non siano più disposti a sostenere incondizionatamente il business.


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