Con il suo curriculum internazionale e un’esperienza di alto livello sulle spalle, Andrea Tortora è uno dei protagonisti della pasticceria italiana e non solo. In questa intervista, Tortora ci racconta della sua formazione e del suo concept di pasticceria.
L’intervista ad Andrea Tortora
Andrea, raccontaci qualcosa di te. Come è nata la passione per i dolci?
La mia è una passione che da 4 generazioni accompagna la mia famiglia. Sono nato in una famiglia di pasticceri e da quando sono piccolo sono avvolto dalla magia degli impasti lievitati, dal profumo del cioccolato e dalle pentole roventi.
Cosa ti ha spinto ad intraprendere un percorso nella pasticceria? Qual è stato il momento in cui hai capito che era la tua strada?
Ho sempre saputo di voler fare il pasticcere, veder mutare la materia trasformata mi ha sempre affascinato.
Sulla tua formazione, invece, cosa ci puoi dire?
Ho frequentato la scuola alberghiera, ma la vera formazione è iniziata dopo, quando ho iniziato a girare le cucine di mezzo mondo, a conoscere le persone che ci lavoravano dentro. Tutti sono stati fondamentali nel mio percorso: ogni chef e ogni persona incontrata, dal lavapiatti al titolare, sono stati per me fondamentali e d’ispirazione per quella che è la mia concezione oggi di pasticceria.
Dietro ogni uomo c’è una storia e dietro ad ogni storia c’è un mondo da capire e scoprire che può essere di grande aiuto e stimolo. Ho, quindi, cercato di ascoltare più storie possibili, per poterne trarre insegnamenti.
Ci sono stati dei momenti in cui hai pensato che la pasticceria non fosse il mondo? Se sì, cosa ti ha convinto a continuare nel tuo percorso?
Ho semplicemente fatto della mia passione il mio lavoro, e lo rifarei.
Il mondo della ristorazione è molto competitivo oggi. Quali sono, secondo te, i punti di forza che deve avere un pasticcere per diventare un professionista ad alto livello?
La ristorazione sarà sempre più selezionata ed esclusiva, a prezzi sempre più alti. Quello che posso dire oggi ad una giovane leva è di perseguire l’istinto e la passione, ragionando con la propria testa e non smettere mai di sognare. Per diventare un professionista ad alto livello è necessario coltivare la propria unicità.
Una carriera nella pasticceria iniziata in… cucina
Parlaci di qualche collaborazione dall’inizio del tuo percorso che è stata particolarmente importante per te.
In una delle mie prime esperienze, al costo di essere nella cucina del Bauer di Venezia con a capo lo Chef Giovanni Ciresa, sono stato anche cuoco, chef de partie agli antipasti, esperienza che mi ha fatto capire quanto siano importanti gli equilibri in una cucina e quanto sia delicata la connessione di obbedienza e libertà che è la chiave della creatività.
Chi o cosa è la tua più grande fonte di ispirazione?
La mia più grande fonte di ispirazione sono le persone e le esperienze che sono diventate nel tempo il mio bagaglio di conoscenze.
Mi piace sempre parlare di esperienza, perché solo viaggiando e conoscendo cose e persone fuori dal nostro mondo possiamo portare dentro di noi un bagaglio di esperienze che diventano la conoscenza. Mi incuriosisce molto andare all’etimologia delle parole, per capire nel profondo cosa significano.
La radice germanica della parola esperienza [experiri] ci riporta al significato di “esplorare viaggiando” e “appropriarsi sperimentando”. Secondo la versione germanica l’esperto è “l’uomo che ha viaggiato” e perciò conosce il mondo non solo per sentito dire, ma perché c’è stato, ha vissuto, sofferto, agito.
Sicuramente una delle persone che più mi hanno influenzato nello stile è stato Norbert Niederkofler, con cui sono stato per più di 10 anni e con il quale ho ottenuto come pastry chef in carica nel 2018 le 3 Stelle Michelin.
Simple, clear, clean: le parole chiave di Andrea Tortora
Parlando di pasticceria si parla anche di precisione. Secondo la tua esperienza, quando un dolce si può definire “perfetto”?
Il mio stile prevede rigore e disciplina, la tecnica deve valorizzare il gusto e la materia prima. Il mio obiettivo è quello di stupire al morso e non solamente con la tecnica e con l’estetica, consapevole che l’occhio voglia la sua parte. Simple, clear, clean. Credo che un piatto diventi perfetto non quando non c’è più niente da aggiungere ma quando non vi sia più niente da togliere. Una pasticceria essenziale e pulita. Credo fortemente che less is better.
Durante il lockdown del 2020, la maggior parte degli italiani si è improvvisata “pasticcere” per occupare il tempo. Credi che questo abbia reso “scontato” il mestiere del pasticcere o che, al contrario, abbia avvicinato le persone a questo mondo?
In realtà penso che il lockdown abbia avvicinato molte persone all’arte della pasticceria e della panificazione e ora il livello “casalingo” si sia alzato: gli amatori sono sempre più esperti e anche per i professionisti diventa stimolante avere un pubblico più preparato e cosciente del prodotto finito che andiamo ad offrire, che sia un dessert o un lievitato. Anche cuochi che ritenevano la pasticceria quasi come un reparto a parte si sono avvicinati, comprendendone il valore. Penso che questo fenomeno sia molto positivo e di grande stimolo.
Prima di salutare i nostri lettori, un’ultima domanda. Immagina che nessuno, all’estero, conosca l’Italia: con quale dolce gliela faresti scoprire?
Sicuramente il panettone. È il simbolo italiano dell’arte della lievitazione, un dolce completo, complesso e di una bontà immediata, fruibile e comprensibile a chiunque, che racconta una storia italiana, che ha visto le rivoluzioni industriali, che da basso è diventato alto, che ha conosciuto l’industrializzazione per poi tornare fiero nell’artigianalità. Penso sia l’ambasciatore per eccellenza del Made in Italy.
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Crediti foto: Daniel Töchterle