La campagna Food for Change di Slow Food
“Dal 16 ottobre, per una settimana, invitiamo tutti a fare la propria parte e a impegnarsi per eliminare la carne, ridurre gli sprechi e prediligere cibi locali. Questa la sfida che Slow Food lancia all’interno della campagna internazionale Food for Change, per sottolineare il legame tra cibo e cambiamento climatico” racconta Carlo Petrini, presidente di Slow Food. Mai come adesso è urgente che tutti facciamo la nostra parte per arrestare un fenomeno che ci tocca da vicino tutti i giorni. Si stima infatti che, senza un’inversione di rotta, il pianeta si riscalderà di 1,5 gradi nel 2030 e di 4 nel 2100. Questo avrebbe conseguenze devastanti: un miliardo di persone rimarrebbe senza acqua, due miliardi soffrirebbero la fame e la produzione di mais, riso e grano crollerebbe del 2% ogni 10 anni.
“A livello globale la produzione di cibo è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra, mentre la produzione di mangimi occupa il 40% della produzione agricola mondiale” continua Petrini. “Da sempre sosteniamo e condividiamo quelli che sono i tre pilastri della Fao per il progetto #FameZero: contrastare lo spreco di cibo, che ogni anno raggiunge 1,3 miliardi di tonnellate nel mondo; favorire un approccio integrato in agricoltura, quella che noi chiamiamo agroecologia e che si basa sul rispetto della biodiversità e sull’interazione tra colture, allevamento e suolo. Terzo elemento, alla base delle attività di Slow Food, è seguire una dieta sana e sostenibile”.
L’analisi di Slow Food
Proprio a questo proposito Slow Food in collaborazione con Indaco2 (spin off dell’Università di Siena) ha analizzato l’impatto di una dieta attenta e amica del clima con una non sostenibile. “Il risultato? Il processo produttivo degli alimenti su cui si basa una dieta non sostenibile genera quasi il triplo dei gas serra rispetto a una sana e rispettosa dell’ambiente”. Il consumo settimanale di prodotti non sostenibili comporta una produzione di gas serra pari a 37 kg CO2 eq, mentre con una sana siamo a 14 kg CO2 eq. “Un anno di buone abitudini ci farebbe quindi risparmiare CO2 pari alle emissioni di un’auto che percorre 3300 km” conclude Petrini.
Un interessante studio che ha anche analizzato l’impatto di singoli alimenti, dalle mele al latte, dalla carne al formaggio. Prendendo ad esempio le uova, si calcola che il risparmio di CO2 realizzato ogni anno da un allevamento all’aperto che rispetta ambiente e animali, rispetto a uno industriale, corrisponde alle emissioni di un’auto che percorre 30.200 km.
Tumal Orto Galdibe
“Vivo allevando capre, pecore e cammelli. Questo è la mia vita, così come lo è stata per i miei antenati negli ultimi 235 anni. Vorrei che le generazioni future continuassero a vivere con lo stesso stile di vita tradizionale; ma purtroppo negli ultimi tempi la nostra terra è stata colpita da siccità e inondazioni, trasformazione dell’ambiente che ha ceduto suolo e paesaggio a strade e trivelle, mettendo a dura prova comunità e animali. Trovare l’acqua per i miei animali è la più grande sfida della mia vita. Percorriamo lunghe distanze, fino a 100 chilometri, per trovare pozzi poco profondi per le capre” racconta Tumal Orto Galdibe, pastore indigeno del Kenya.
José Casimiro Gonzalez
“Non c’è dubbio: il cambiamento climatico è reale, e ci sta colpendo adesso”. Da Cuba gli fa eco l’agricoltore José Casimiro Gonzalez: “Sfollamenti, danni agli edifici, diminuzione dei raccolti e cambiamenti radicali nei periodi di semina sono solo alcuni degli effetti che verifichiamo noi agricoltori. E questo significa incertezza economica e difficoltà quotidiane oggettive nello svolgere il nostro lavoro. Voglio però essere positivo. Se penso a quale possa essere il futuro di Cuba, non ho dubbi. L’agroecologia, l’osservazione della natura e Slow Food sono le speranze che conservo».
“Insomma, serve l’impegno di tutti. Domani è troppo tardi” conclude Petrini. “Con Food for Change possiamo cambiare anche di poco le nostre abitudini alimentari e riuscire davvero a fare la differenza”.
Crediti foto: Ezio Zigliani