Uno dei rari privilegi di lavorare nel mondo del vino, come io ho la fortuna di fare da anni, è che questo universo trabocca di storie. Non per forza storie di successo, ma buone storie. In fondo una buona storia inizia quando una persona è messa di fronte ad una scelta, e ha davanti la classica strada battuta o quella nuova, tutta da sperimentare.
Inutile dire che le storie più interessanti sono le seconde. Forse non è un caso che tutto quello che impariamo sulla vita succeda al di fuori della nostra comfort zone. È solo dove le persone si sperimentano, affrontano i propri limiti, li superano, che c’è ricchezza. Tra le tante, quindi, tre storie per voi, che parlano esattamente di questo, di superare i propri limiti.
Marco De Bartoli
Per la prima approdiamo in un territorio splendido come quello di Marsala, nord ovest della Sicilia, e aggiungiamo una premessa che risale addirittura al ‘700. La fortuna del vino di Marsala nel mondo si deve all’Inghilterra, e in particolare all’embargo vitivinicolo che accompagnò la guerra dei cent’anni.
Alla ricerca di vini dolci per rifornire la Gran Bretagna, che ne era ghiotta, un commerciante inglese, tale John Woodhouse, arrivò avventurosamente proprio a Marsala, dove – la leggenda racconta – assuefatto al vino di Porto e allo sherry, rimase addirittura folgorato da un bicchiere di Marsala. Lo portò con sé tra i britanni, addizionandolo con alcol per fargli superare il viaggio, e il successo fu immediato, duraturo e fautore di quella dinastia di produttori di Marsala da cui, non a caso, proveniva anche Marco De Bartoli.
Arriviamo alla fine degli anni ’70. Nonostante fosse figlio e parente di vignaioli, Marco era un iconoclasta. Insoddisfatto di ciò che il successo commerciale aveva causato al Marsala, era deciso che fosse necessario un ritorno al passato, nella fattispecie al metodo “solera” o perpetuo, originario dell’800, che consiste nel produrre vino “di Marsala” con un piccolo rabbocco di vino nuovo nelle botti vecchie, in un processo che dura almeno venti anni.
Ristrutturò un baglio di famiglia in Contrada Samperi, si procurò molte botti con annate storiche di grillo e iniziò a fare il suo vino, che non potrà tuttavia chiamare Marsala perché prodotto senza fortificazioni. Esito, un’eredità magnifica, portata avanti oggi dai figli di Marco e un vino, il “Vecchio Samperi”, irripetibile e ambitissimo per gli abbinamenti con il cibo.
Terre Bianche
Per la seconda storia, con un salto spazio-temporale approdiamo in Liguria, in un territorio altrettanto affascinante come quella della Val Roia, provincia di Imperia, ad un soffio dalla Francia.
Dolceacqua, terrazzamenti scoscesi per contenere un terreno insidioso, di calanchi ed argille, circondati dalla macchia mediterranea. Tutta la storia di Terre Bianche, se vogliamo, è qui.
Filippo Rondelli da giovane non è attratto dalla tradizione vitivinicola di famiglia, prosegue la sua formazione umanistica sognando di diventare professore. Ma poi i casi della vita, nella fattispecie la morte del padre Claudio e dello zio Paolo, gli fanno capire che la grande macchina del Destino ha altri piani.
Che nella fattispecie prendono le sembianze di un vino – straordinario – come il Rossese di Dolceacqua. Un vino robusto, che sa di mare e di macchia mediterranea, adorato dai condottieri e dai naviganti per queste caratteristiche di romantica evocatività.
Filippo trova quasi subito la sua “cifra”, contribuendo anche a rivedere la disciplinare della DOC. I vini di Terre Bianche provengono da vigne centenarie e sono affascinanti, spigolosi ma profondamente aromatici e soprattutto senza ammiccamenti. Vini memorabili.
Tenuta San Guido
La terza storia che vi racconto è una storia che ci riguarda un po’ tutti, in un modo o nell’altro. Una storia forse risaputa, ma che, io credo, è il caso ogni tanto di ripassare. È il 1930 quando a Bolgheri, frazione di Castagneto Carducci, Mario Incisa della Rocchetta sposa Clarice della Gherardesca, che gli porta in dote la tenuta di San Guido. Mario è agronomo ma soprattutto un uomo colto e ostinato, la cui ossessione si incarna nel sogno di produrre un vino che possa giocarsela con i Bordeaux sul panorama internazionale.
Anni di prove, studi, sperimentazioni per arrivare al 1968, quando sul mercato italiano viene commercializzata la prima bottiglia di Sassicaia. Ora è il vino più famoso al mondo, regolarmente votato come vino migliore del mondo, e a me piace pensare che lo è perché è come noi. Ricco, sfaccettato, complesso ma anche cordiale, e soprattutto legato al suo territorio. E, in più, un vino che quando invecchia riesce a dare il meglio di sé.