Verde come un colore, una speranza e un pollice, quest’ultimo inteso come capacità di far crescere tutto quello che ha radici.
Per spiegare come il verde entri a far parte del concetto vino, delle tre definizioni appena elencate scelgo la seconda e la terza, un po’ perché collegate tra loro, un po’ perché, per natura, sono un ottimista.
Lo sono verso la crescita del vino italiano e in particolar modo verso quello in cui, basso impatto ambientale e qualità del bicchiere, riescano a coincidere.
I mille aggettivi del vino
Per anni il vino è stato, semplicemente, buono o meno buono. Nel recente passato le categorie sono aumentate. Sono spuntati i vini di terroir – scoperta dell’acqua calda – quelli convenzionali, termine usato spesso al limite del disprezzo, quelli naturali, anche se poi in natura troviamo l’uva e non il vino, senza dimenticare i vini biologici e persino biodinamici. Il denominatore comune a molte di queste categorie è legato alla parola bio. La vita di un vino, bianco o rosso che sia, perché possa essere la più rosea possibile, secondo un numero sempre crescente di produttori, deve prevedere il pollice verde. Per non fare confusione con i colori, va chiarito innanzitutto che il trend del bio e delle sue possibili declinazioni, è tutto sommato abbastanza recente.
I vini biologici
I motivi che spingono un’azienda verso quest’attitudine sono diversi. Ci sono casi in cui il ridurre o addirittura rifiutare l’utilizzo della chimica ha ragioni di salute personale, in altri la scelta è maturata dopo aver compreso, grazie all’assaggio, che i vini prodotti da uve coltivate in bio possano vantare una particolare vibrazione gustativa.
Le casistiche sono molto ampie, comprese quelle, che potremmo definire in negativo, che portano alcune aziende a ricorrere alla scusante del bio, per nascondere palesi difetti enologici dei propri prodotti. Non inizio neppure il discorso sulla biodinamica non per mancanza di conoscenza, ma per brevità di spazi. Passando dalla cantina alla sala da pranzo, intesa come consumo di questi prodotti, il trend dei vini biologici è sempre più seguito dal grande pubblico. Lo dicono anche i numeri. Il movimento vino bio dal 2004 al 2015 è cresciuto, a livello mondiale, quasi del 300%, anche se l’ascesa a tre cifre va letta non dimenticando i valori di partenza, all’epoca non così alti.
Chi giudica, e con quali parametri, se un vino possa essere definito bio?
La frammentazione degli enti e la possibilità di autocertificazioni rende la questione non così facilmente leggibile, almeno per il grande pubblico. Il discorso non migliora con il biodinamico, legato a un associazionismo frammentato, che si autoregola in maniera spesso unilaterale e poco organica. Sull’analisi del vino bio in Italia, settore comunque in crescita visto che siamo al secondo posto come superficie vitata certificata dopo la Spagna, pesano anche le dimensioni delle diverse aziende. Parlo non solo di ettari, ma anche di risorse. La conversione a un regime biologico e suoi derivati, non avviene con ritmi commerciali, ma con dinamiche, in questo caso il termine è più che mai appropriato, naturali.
Il boom del vegan wine
Ci vuole tempo e ci vogliono risorse, specie nel caso in cui le stagioni in cui si effettua lo switch, non siano poi così clementi da permettere buone vendemmie. Nonostante la giovane età e i risultati raggiunti dal biologico, va ricordata una nuova tendenza, il vegan, che sta via via prendendo sempre più piede anche nel vino. Senza andare troppo nel dettaglio, diremo che un vino vegan in linea di massima è biologico. A questo si aggiunge il fatto che non si possano utilizzare animali in vigna, pratica invece molto diffusa presso chi aderisce al biodinamico (ad esempio l’utilizzo dei cavalli per la cura dei filari), né prodotti derivati da animali. Un esempio? L’abolizione del bianco d’uovo utilizzato da sempre per la chiarifica.
Anche in questo caso la certificazione, redatta da agenzie ad hoc, risulta essere una condizione indispensabile perché questi vini siano apprezzati, in alcuni casi più dall’etica che dal palato, da chi aderisce a questa pratica. Per tirare le somme bisogna comunque ricordare che molti produttori, specie quelli bravi, non hanno bisogno di nascondere la qualità dei propri vini dietro patenti da pollice verde. La naturalezza – disinvoltura espressiva – di un vino è la miglior garanzia della sua genuinità, da intendersi sia come salubrità di prodotto, ma anche e soprattutto come naturale espressione di quel preciso luogo di produzione.
I consigli di Luca Gardini
Di seguito alcune aziende che risultano essere in conversione al biologico, biologiche certificate, biodinamiche e persino vegani. Tutte le realtà elencate di seguito, al di là della scelta più o meno Green, producono vini di territorio e personalità.