I vini rappresentano un settore di fondamentale importanza per l’Italia, con circa sei bottiglie su dieci vendute ogni anno solo attraverso la grande distribuzione. Tuttavia, l’offerta di vini dealcolati, una categoria in forte crescita a livello internazionale, rimane pressoché inesistente sugli scaffali italiani. Questo nonostante l’interesse crescente dei consumatori e le esperienze positive di altri mercati europei.
Un quadro normativo assente
La produzione di vini dealcolati in Italia è attualmente vietata, un ostacolo che impedisce al settore vitivinicolo nazionale di cogliere una tendenza globale in espansione. Il vuoto normativo ha relegato questa nicchia di mercato a una dipendenza da importazioni, con bottiglie provenienti principalmente da Spagna e Germania. Questo scenario rappresenta un’occasione mancata per il settore vinicolo italiano, che potrebbe diversificare la propria offerta e intercettare nuovi segmenti di consumatori.
Nonostante gli appelli delle associazioni di categoria e della GDO, il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf) non sembra intenzionato ad accelerare il processo legislativo. Il ministro Francesco Lollobrigida ha avviato un dialogo con la filiera vitivinicola, ma senza risultati concreti.
Vini dealcolati, un interesse latente tra i consumatori
Secondo Francesco Scarcelli, responsabile del comparto beverage di Coop Italia, una persona su sei sarebbe interessata a provare vini senza alcol. Questo interesse, però, fatica a tradursi in vendite significative a causa della scarsa offerta e della limitata conoscenza del prodotto. Coop ha introdotto due referenze private label sotto il marchio Z&ro, ma le vendite, per ora, sono marginali: «Non possiamo continuare in questa situazione di incertezza – sottolinea Scarcelli – Serve chiarezza normativa per competere ad armi pari con gli altri Stati europei».
E la GDO si affida all’estero
Anche Esselunga e MD hanno iniziato a testare il segmento dei dealcolati, pur dovendo fare affidamento su prodotti stranieri. Daniele Colombo, responsabile della categoria wine and spirit di Esselunga, osserva come sia «prematuro stabilire il potenziale di mercato» ma sottolinea che, dati i segnali provenienti dall’estero, «l’Italia deve rispondere alle richieste del mercato».
Marco Usai di MD, invece, evidenzia le sfide tecnologiche nella produzione di vini dealcolati: «Le attuali tecnologie non riescono ancora a preservare pienamente la struttura e l’aromaticità del vino. Questo limita la proposta, ma rappresenta comunque un’opportunità complementare per ampliare l’offerta».
Quella dei vini dealcolati è un’opportunità per innovare il linguaggio del vino
Lorenzo Cafissi, responsabile beverage di Carrefour Italia, offre un’altra prospettiva: i vini dealcolati non cannibalizzeranno il mercato tradizionale, ma attireranno nuovi consumatori. Tuttavia, per massimizzare il loro potenziale, serve una comunicazione più incisiva: «Il settore del vino utilizza un linguaggio spesso autoreferenziale. I dealcolati possono rappresentare un’occasione per innovare e attirare l’attenzione sul vino in generale».
Il futuro: regole e innovazione
La strada per integrare i vini dealcolati nel mercato italiano passa attraverso due direttrici: una normativa chiara che consenta la produzione nazionale e un approccio tecnologico che migliori la qualità dei prodotti. Solo così l’Italia potrà sfruttare questa opportunità, valorizzando il proprio straordinario patrimonio vitivinicolo e mantenendosi competitiva su scala globale.
In un contesto di consumi stagnanti per il vino tradizionale, i vini dealcolati potrebbero essere il catalizzatore per un rinnovamento dell’intero settore. La palla passa ora alle istituzioni e agli operatori del settore, chiamati a rispondere a una domanda che non può più essere ignorata.