I fraintendimenti? Tanti sul Vino Nobile di Montepulciano. A partire dalla zona di produzione scambiata per il grappolo rosso più famoso d’Abruzzo, proseguendo con quel riferimento aristocratico del nome che lo potrebbe far sembrare un po’ snob. Non vanno infine dimenticati, una volta capito il comune denominatore legato al vitigno, i paragoni che questo vino scatena rispetto alle altre superstar di Toscana come Chianti Classico e Brunello di Montalcino.
Il Vino Nobile di Montepulciano, tutto quello che c’è da sapere
Allora bisogna fare chiarezza. Diciamo innanzitutto che il Vino Nobile di Montepulciano si produce a Montepulciano. Il navigatore satellitare dice provincia di Siena. Gli occhi, se ci andrete, vi mostreranno più di una semplice meta, bensì un punto di partenza per un viaggio nella bellezza. Bello e nobile quindi? Certo, anche se poi il riferimento al blasone, per il vino che qui si produce, non ha a che vedere con il lusso. Ma piuttosto con l’aristocrazia.
Non quella determinata dal parere di qualche degustatore, ma quella imposta dalla storia e da secoli di apprezzamenti e citazioni scritte. In un caso addirittura risalente a prima dell’anno mille. Poi il vitigno, quel Sangiovese che in Toscana trova posto in tante denominazioni, facendo tutti un po’ parenti e, alle volte, persino serpenti.
Il Vino Nobile tuttavia dribbla queste dispute genealogiche, chiamando il grappolo con cui è prodotto Prugnolo Gentile. Non si capisce bene se questo vitigno sia una varietà a sé stante o un biotipo di Sangiovese, anche se l’identikit del frutto, acino grosso e buccia sottile ma resistente, rendono questa seconda ipotesi non priva di argomentazioni.
Un vino Nobile, ma non snob
Quelle utilizzate dal vino per dialogare con il palato sono numerose. Anche perché frutto della combinazione di diversi aspetti. Differenti altitudini (fino a 600 metri sul livello del mare) e altrettanto differenti terreni (argillosi, sabbiosi e tufacei). Il dialogo si fa perciò più forbito in presenza dei cru, Caggiole, Bossona, Nocio e Asinone per citarne alcuni. Ma anche più immediato, come quello di chi va dritto al punto. Come nel caso del Rosso di Montepulciano.
Non un secondo vino ma una tipologia a sé stante, basata su di un linguaggio schietto, perché espresso in prevalenza su quei toni fruttati, portati in dote da piante generalmente più giovani. Il timbro si fa, come detto, più profondo con i cru del Nobile di Montepulciano, basati come tutte le tipologie, su uva Sangiovese almeno per il 70%, completata da altre bacche rosse, ma anche da un piccolo saldo (5%) di uve bianche (donano freschezza ed eleganza).
Le Riserve di Vino Nobile di Montepulciano
Le Riserve di Vino Nobile di Montepulciano sono dei veri e propri ‘titolari’, che mettono in campo forza, maturità e ampiezza di colpi gustativi, dettati anche da un affinamento che arriva fino a tre anni. Sempre a Montepulciano non si può non parlare del Vin Santo. Splittato in tre versioni – Vin Santo di Montepulciano, Vin Santo di Montepulciano Riserva e Vin Santo di Montepulciano Occhio di Pernice – ha nelle prime due declinazioni una ricetta caratterizzata da uve bianche (Malvasia, Grechetto e Trebbiano), mentre l’occhio di pernice richiede almeno il 50% di Sangiovese e addirittura sei anni di affinamento.
Nonostante le abbondanti variabili espressive, il blasone del Vino Nobile di Montepulciano pareva, sino ad alcuni anni fa, un po’ sbiadito, anche in virtù dell’ascesa di altre denominazioni toscane.
La perdita di tonalità si doveva in parte a un’accondiscendenza eccessiva rispetto alle mode imposte dal mercato, seguita poi da una scarsa lettura della contemporaneità del bere fatta, in primis, da fattori quali pulizia e facilità di beva.
La ricetta per ricondurre agli antichi splendori la denominazione, deve, e dovrà, passare innanzitutto dalla consapevolezza che il Vino Nobile di Montepulciano ha al suo stesso interno l’antidoto per ripartire alla conquista dei mercati, sommata a quella coscienza di chi ha fatto la storia del vino italiano, piuttosto che impararla soltanto dai libri.
Leggi anche “Il pinot nero: la sfida dei viticoltori”